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Pd in coma, ma la sinistra non rinasce nei teatri o in una piazza romana

Pd in coma, ma la sinistra non rinasce nei teatri o in una piazza romanaManifestazione del Pd al Circo Massimo di Roma – Andrea Sabbadini

Sinistra Renzi è solo un capo dalle smodate ambizioni con un’insana nostalgia di ritorno a Palazzo Chigi. Con la complicità di un non-partito che non ha dirigenti ma scudieri

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 27 giugno 2017

A un leader che ha perso lo scettro a Rignano ci mancava solo il vagabondare di Prodi nelle vesti del buon confessore. Il capo di un partito personale, cui viene scucito il potere proprio nel natio paese-simbolo, quando si imbatte nell’astuto confessore avverte che quello è lì per somministrare la estrema unzione. Lo stato di salute del capo non più gagliardo è malfermo da un pezzo. E starsene in piscina, in attesa del destino avverso, è un segnale in più. Si tratta di un irrimediabile disfacimento di quello che fu il corpo del leader in camicia bianca.

Ormai quasi tutte le città della Toscana sono state espugnate dalle forze nemiche. Per un capo che ha condotto le ardite scalate ostili con il supporto del comitato d’affari della piccola borghesia toscana essere scacciato da una città dopo l’altra del Granducato non è certo l’indizio di una solida volontà di rivincita. Anche gli antichi protetti nel Consip si scagliano contro i suoi colonnelli, in gesti di ribellione che sono possibili solo contro gli agenti di un potere percepito come ormai in declino. E il fumo delle braciolate non basta a tenerlo al riparo dai guai procurati dalla brama di possesso della più ristretta cerchia dell’influenza.

Dopo aver rotto con la Cgil e divorziato con il mondo del lavoro c’è poco da ricamare per rinsaldare un legame con il voto popolare.

L’altro serbatoio dell’elettorato di sinistra, quello dei professori, il Pd se lo è giocato per sempre con gli algoritmi e le simbologie del comando della buona scuola. E il vero mito fondativo della cultura politica della sinistra repubblicana, ha funzionato come collante ideale nel corso di settant’anni, cioè la costituzione come grande valore programmatico da attuare, Renzi lo ha infranto nel plebiscito del 4 dicembre.

Con i figli di una democrazia cristiana minore (Lotti, Boschi, Rosato, Bonafé, Picierno, Fioroni, Franceschini, Guerini) Renzi non riesce a colmare lo strappo simbolico con Bersani, D’Alema, Rossi, Speranza. Senza l’amalgama con quel po’ di rosso che i fuggitivi comunque garantivano, il Pd esce a pezzi, non potrà superare che a stento il 20 per cento, altro che le cifre trionfali sfornate dai sondaggisti.

Le amministrative certificano che il Pd è in coma irreversibile. Non esiste come partito organizzato nei territori. L’accelerazione verso un partito personale, con la rete del notabilato locale, quello più spregiudicato e disincantato sul piano etico-politico, a fare da supporto alle ambizioni di restaurazione del capo ferito, non regge l’urto. È così sfilacciato e esangue come organismo collettivo che il Pd non ha neppure la residua forza di chiedere con voce flebile la rimozione del capo che in battaglia si è rivelato un perdente di professione.

Il mito renziano del soltanto con me si vince, alzato contro i campioni della non vittoria che avevano sciupato un rigore a porta vuota, si converte amaramente nella reiterata sconfitta dell’uomo solo al comando che preferisce la codarda fuga dai teatri di guerra delle città più calde. Ha perso tutte le battaglie: le regionali, le amministrative, i ballottaggi e il plebiscito sulla Costituzione. Ha prodotto il roboante vuoto della sconfitta che

lo trafigge senza però farlo desistere dall’oscuro proposito di resistenza al comando.

Se fosse un vero leader, mosso da un briciolo di idealità politiche, avrebbe lasciato il timone per il bene del partito. Ma Renzi è solo un capo dalle smodate ambizioni di potere che, spinto da moventi non politico-ideali, ha distrutto con accanimento l’ordine collettivo. Tra le sterminate macerie accumulate proclama una insana nostalgia di ritorno a Palazzo Chigi e si arrocca alla guida folle della macchina con la complicità di un non-partito che non ha gruppi dirigenti ma scudieri che gli devono tutto e lo accompagnano verso il disastro.

Il ballottaggio dimostra che il male di vivere riguarda il Pd, e per sottrarlo agli spasmi dello stato terminale non è questione di collante, campo, alleanze più o meno larghe.

Se non si costruisce una alternativa di sinistra al Pd, visto che i ricambi interni sono assai problematici in partiti leaderistici senza cultura politica, l’oblio del Nazareno si riverbera sul sistema determinando una fuoriuscita di destra alla crisi della democrazia.

Non si affronta però la gran tempesta del decesso del Pd con i raduni nei teatri e nella piccola piazza romana. A quando la politica?

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