Nel 2019 fu lo spazio di identificazione di difesa aerea, nel 2022 è la linea mediana. Nel new normal sullo Stretto di Taiwan la Cina oltrepassa progressivamente degli sbarramenti che non riconosce per avvicinarsi alle coste di Taipei. Sarà questo, sostengono a Taipei, il principale cambiamento operativo scaturito dalla reazione di Pechino alla visita di Nancy Pelosi. Il confine sempre più offuscato sulla fine delle esercitazioni militari lo conferma: l’esercito popolare di liberazione regolarizzerà le sue manovre sullo Stretto. Ieri i test sono continuati, seppure su scala ridotta rispetto ai giorni precedenti, con l’impiego di 45 jet e 10 navi da guerra. Le esercitazioni taiwanesi sono iniziate nella parte sud dell’isola ma «inland» e non si sovrappongono.

NELLE PROSSIME settimane ci si aspetta che si vada avanti così: manovre continue con giorni a bassa intensità e nuovi round di test più estesi come nei giorni scorsi. Questo fino alla fine del raduno del Partito comunista a Beidaihe che, secondo quanto dicono a il manifesto fonti vicine al governo taiwanese, sarebbe cominciato già da diversi giorni e potrebbe durare «per circa altre due settimane». E dopo che cosa può succedere? Per due mesi ci potrebbe essere una fase di calma apparente, con Xi Jinping impegnato a sistemare le «faccende di casa» prima del XX Congresso che dovrebbe tenersi nella seconda metà di ottobre e non a novembre come ipotizzato da qualcuno. «Poi si entrerà in una nuova fase di gioco». Quale gioco?

Il ministro degli Esteri di Taipei, Joseph Wu, ha dichiarato ieri in conferenza stampa che Pechino vuole «collegare il mar Cinese orientale e il mar Cinese meridionale». Ma l’invasione, secondo le fonti de il manifesto, «sarebbe l’extrema ratio. Al momento Pechino ha evitato possibili incidenti, segnale che i test sono una dimostrazione di forza ma non si vuole un’escalation. La Cina sa che Taiwan non andrebbe solo presa ma anche occupata. Senza contare le possibili reazioni degli Usa e dei suoi vicini». Del Giappone, avvisato dai missili balistici nella sua ZES (non riconosciuta da Pechino). O dell’India, che a ottobre svolgerà esercitazioni con gli Usa a meno di 100 km dal confine conteso.

COME SPESSO accade, sono i dettagli a fare la differenza. «Rafforzare il dialogo»: Biden e Xi erano usciti con questa intenzione dal colloquio del 28 luglio. È successo l’opposto. In quei giorni si parlava già della visita di Pelosi, è improbabile che la Casa bianca abbia dato garanzie sulla possibilità di farla saltare. Biden avrebbe invece cercato di personalizzare il tour della speaker. A far particolarmente arrabbiare Pechino, secondo una fonte informata sulla vicenda, sarebbe stata l’agenda di Pelosi.

Non uno scalo tecnico ma oltre 19 ore di incontri di primo livello dalla forte retorica sui diritti umani. Un affronto personale per Xi, alla vigilia di Beidaihe e verso il XX Congresso. E per Pechino la prova che degli Usa non ci si può fidare dopo il riavvio del dialogo dall’inizio di giugno, in seguito al viaggio in Europa del presidente americano nel quale diversi paesi europei, Germania in testa, gli avrebbero chiesto di cercare di porre fine alla guerra in Ucraina prima dell’autunno. Per riuscirci, Biden riallaccia con Pechino, linea che non dispiace a una parte dei democratici, Barack Obama compreso.

È un momento delicato, la Russia chiede maggiore supporto a Pechino. Xi rilascia dichiarazioni di sostegno retorico, ma a Mosca vorrebbero di più. Il 15 giugno la seconda telefonata dall’inizio dell’invasione tra Vladimir Putin e Xi. Più che il coronamento di un matrimonio, un modo per cercare garanzie che la relazione sta proseguendo. Nelle settimane seguenti la Russia intensifica i passaggi al largo del Giappone. Il 1° e 2 luglio tre navi della marina russa navigano al largo della contea di Hualien, costa orientale di Taiwan.

L’INTENZIONE sembra quella di mostrare a Washington coordinamento totale con Pechino, mandando anche un segnale all’amico «senza limiti» avvicinandogli il fronte di crisi. «I russi hanno esagerato stavolta», dichiara in quei giorni Zhou Chenming, ricercatore all’Istituto di Scienza e Tecnologia Militare Yuan Wang, con sede a Pechino. Ma quelle per il Partito comunista sono acque cinesi. E «la Cina non vuole che gli americani si avvicinino, né vuole che lo facciano i russi», dice Zhou.

Ma non tutti negli Usa sono d’accordo con la mossa di Biden. Come ha raccontato a il manifesto Kuo Yu-jen della National Sun Yat-sen University, i repubblicani e tanti democratici non approvano l’appeasement. Ritengono che il disgelo con Pechino sia un errore. Forse il viaggio di Pelosi porterà maggiore spazio diplomatico a Taiwan, che in questi giorni accoglie una delegazione del governo lituano. Intanto ha di certo bloccato quel dialogo.