Le redini un po’ più lunghe, ma tenute con fermezza tra il pollice e l’indice, mentre le tre dita rimanenti si adattano al movimento. La schiena resta dritta, il mento arrogante e i gomiti stretti sul corpo: è la traduzione ippica della comunicazione della Commissione sulla riforma, necessaria, del Patto di crescita e di stabilità, che propone alla discussione dei 27 le prime grandi linee di una riforma che dovrebbe introdurre flessibilità, senza rinnegare le regole di fondo, per adattarsi alla situazione.

Dopo le larghezze del Covid, di fronte alla guerra in Ucraina, all’inflazione e alle sfide del riscaldamento climatico, c’è bisogno di rivedere il margine di manovra degli investimenti, tenendo conto della realtà di un debito pubblico la cui media Ue è ormai dell’87,9%, cioè superiore al 60% fissato dai Trattati (nel 1994, poi precisato nel Patto del 1997). La Commissione presenterà un testo dettagliato «entro il primo trimestre» del 2023, ha detto Paolo Gentiloni, sentiti i pareri degli stati membri, per una riforma da varare entro lo stesso anno, dopo la sospensione dei parametri a causa delle spese eccezionali per il Covid.

«La sostenibilità del debito e la crescita vanno di pari passo», il «nuovo Patto» sarà «intelligente» e «si concentrerà su ciò che conta», ha affermato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Ci sarà «una maggiore padronanza dei paesi» sul proprio percorso e un processo «meno duro di riduzione del debito» secondo il commissario Valdis Dombrovskis, un falco che ha precisato che comunque l’aggiustamento dovrà andare «più in fretta» per i paesi più a rischio.

È una svolta, che dovrebbe introdurre un sistema «più semplice, più trasparente, più efficace», per consentire riforme e investimenti riducendo al tempo stesso il debito pubblico attraverso soluzioni individuali, paese per paese. La Commissione propone più flessibilità, con la soppressione della regola attuale di riduzione di un ventesimo l’anno del debito per i paesi che superano il parametro del 60% del debito rispetto al Pil (una regola inapplicabile: per esempio, per la Grecia, che ha un debito del 194,5% significa una riduzione del 6,7% l’anno del rapporto debito/pil). Per i paesi fuori regola, con un debito che supera il 60%, accanto alla maggiore flessibilità ci saranno maggiori controlli sul rispetto degli impegni presi, con possibilità di sanzioni e la condizionalità sul versamento dei fondi strutturali per chi deraglia (ma si passa «dall’arma nucleare alle armi convenzionali» ha detto Gentiloni). La Commissione fa la differenza tra i paesi che superano il 60% di debito (14 nel 2021, anche la Germania) e il 3% di deficit (15), contro quelli che restano nei parametri. Per i paesi più a rischio, dovrà essere concordato con Bruxelles un piano nazionale di 4 anni, estensibile a 7, una «traiettoria» che comprende rientro di deficit e debito ma al tempo stesso investimenti e riforme. Gli altri avranno 3 anni in più.

Questo piano dovrà essere approvato al Consiglio e se non verrà rispettato dallo Stato che l’ha firmato arriveranno sanzioni. Un esame annuale farà il punto della situazione, paese per paese. La regola del 60% e del 3% resta, ma viene adattata su un periodo più lungo. L’obiettivo è favorire gli investimenti nei settori strategici, dalla transizione energetica al digitale alla sfida climatica. Il gruppo Renew propone di istituire indicatori sul clima e sul sociale. Per S&D il piano «va nella giusta direzione».

Ma la strada per l’approvazione della riforma è lunga. Ci sono già riserve da parte della Germania: il ministro delle Finanze, Christian Lindner, ha definito la proposta della Commissione «poco saggia». Fanno resistenza i “frugali” di fronte alle richieste delle “cicale”. Sullo sfondo c’è il braccio di ferro in corso tra Francia e Germania, i forti malumori tra Berlino e Parigi su molti fronti, con un “motore” franco-tedesco in panne e l’incognita italiana: debito al 150% e velleità nazionaliste. L’Ungheria sembra voler rientrare nei binari, si va verso un accordo con Bruxelles sulla giustizia per poter incassare la sovvenzione di 7,2 miliardi del piano di rilancio.