Economia

Patto di stabilità bloccato dall’Ecofin. È battaglia sul Meccanismo europeo di stabilità

Patto di stabilità bloccato dall’Ecofin. È battaglia sul Meccanismo europeo di stabilitàValdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni (Commissione Ue)

Reazioni a catena All’Eurogruppo strada in salita per la mediazione proposta dall’Italia. Gentiloni (Ue): «Sarà impossibile una rapida ripresa». Settimana cruciale per le politiche anti-virus

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 24 marzo 2020

I ventisette ministri finanziari dell’Unione Europea riuniti ieri in videoconferenza hanno dato il via libera alla sospensione del «patto di stabilità e crescita» proposto dalla Commissione Europea venerdì scorso per tutti i paesi colpiti dall’emergenza sanitaria indotta dal coronavirus. È un parere che permetterà all’Eurogruppo – già riunito ieri sera in maniera ristretta e poi anche oggi – e ai capi di stato riuniti in un Consiglio Europeo straordinario giovedì prossimo, di approvare definitivamente la sospensione del «patto» e stabilire una cornice minimale di una politica economica coordinata sulla quale non c’è un orientamento univoco da parte dei governi, ma almeno tre diverse ipotesi.

PER IL COMMISSARIO UE all’Economia Paolo Gentiloni la Commissione sul tavolo ci sarebbe il riconoscimento ai paesi colpiti dal virus di linee precauzionali di credito da parte del «Meccanismo europeo di stabilità» (Mes o «Salva Stati»); la seconda ipotesi sarebbe una copertura delle sole spese sanitarie provocate dall’emergenza; la terza è l’emissione di obbligazioni da parte delle istituzioni europee, per esempio il Mes, per finanziare la spesa connessa alla crisi attraverso l’emissione di «coronabonds».

SECONDO queste ipotesi il Meccanismo europeo di Stabilità non dovrebbe concedere un credito in cambio di devastanti piani di rientro che, terminata la crisi del virus, produrrebbero un massacro sociale peggiore di quello già previsto oggi. Sarebbe una situazione politicamente insostenibile per tutti i paesi che, a livello nazionale, hanno iniziato a stanziare risorse in deficit per riparare alle prime conseguenze del blocco della produzione e della società («lockdown”). Al contrario il Mes dovrebbe concedere il suo credito, al momento pari a 410 miliardi di euro, senza chiedere in cambio alcuna condizionalità. Dall’altra parte del fronte i governi «rigoristi», a partire da quello olandese e finlandese, si sostiene invece che ci dovranno essere comunque condizioni «appropriate», ovvero soldi in cambio di un consolidamento del bilancio e riforme «strutturali» da concordare con una governance (il Mes, la Bce e il consesso dei governi). Potrebbe trattarsi di una questione «formale», ma c’è anche chi intravvede la riedizione della «Troika» e di uno scenario «greco». Nemmeno sull’ipotesi dei «Coronabond» ci sarebbe un’intesa tra chi auspica un coordinamento europeo delle politiche economiche, e non più una sommatoria di politiche nazionali di bilancio.

QUELLA DEL MES è una proposta di mediazione, avanzata perché si è già esclusa la riforma dello statuto della Bce in quanto prestatrice di ultima istanza, di una politica economica e un bilancio unico europeo. Tale impossibilità ha portato a cercare un’intesa su un programma molto discusso che dovrebbe emettere titoli – i «coronabond» – che saranno sottoscritti dalla Bce, permettendo l’immissione di risorse fresche, forse sottostimate rispetto all’enorme entità delle cifre di cui ci sarà bisogno. Non è per ora chiaro in che modo un simile prestito sarebbe restituito, né in quanto tempo. Se passasse in questa forma sarebbe un compromesso che si avvicinerebbe a un’idea di coordinamento europeo, senza tuttavia risolvere i veri problemi, sia politici che economici, squadernati dalla crisi.

LA PROPOSTA ufficializzata giovedì scorso da Palazzo Chigi è riconoscere che la crisi attuale non ha origini «interne», non è stata determinata cioè da una decisione di un governo di sforare i parametri del deficit e del debito bilancio, ma è stata indotta da un elemento “esterno” – il virus – alla logica ritenuta “naturale” del patto di stabilità. La tesi che sarebbe sostenuta, oltre l’Italia, anche da Francia e Spagna – ciò dovrebbe permettere di sollevare i paesi colpiti dall’emergenza dallo stigma morale del «fallimento» provocato da un eccesso di indebitamento e incontenibili squilibri finanziari provocati dai “paesi cicala» agli occhi dei paesi «virtuosi»: la Germania e i suoi satelliti nordici. Una favola penitenziale e violenta, un dramma protestante, che derivano dalla crisi precedente del 2011 sui debiti sovrani che ha imposto un rapporto di forza che ha penalizzato gli stati più deboli, considerati «viziosi», oltre ad avere imposto nelle loro costituzioni la clausola – non sospesa – del pareggio di bilancio, com’è accaduto anche in Italia. Questo modo di intendere i rapporti di forza inter-capitalistici come una commedia moralistica sarebbe sarebbe tramontata dato che il virus, inteso come un evento proveniente da un mondo extra-economico, sta colpendo con uguale gravità tutti i paesi portandoli verso una recessione violenta e di lungo periodo. E’ tutto da dimostrare che questo atteggiamento sia effettivamente cambiato o, com’è più probabile, stia evolvendo verso una nuova, e inflessibile, presa d’acciaio. Alla quale, stavolta, potrebbero seguire risposte imprevedibili e non convenzionali da parte di chi si riterrà danneggiato. Su questa crisi, l’ectoplasma chiamato Europa si gioca le sue ultime sembianze di realtà politica.

INCERTEZZE, non solo lessicali, di questo conflitto risoluto sono emerse anche nel comunicato dell’Ecofin secondo il quale «l’uso della clausola garantirà la flessibilità» adottata dalla Commissione Ue proteggerà «le nostre economie». I ministri delle finanze non citano la «sospensione» del «patto» e rivendicano l’impegno a «rispettarlo», auspicano che i governi evitino danni alla «sostenibilità delle finanze», anche se invitano ad «agire con decisione» contro lo «choc» causato dal virus. È ancora un approccio minimalista, ispirato all’idea che il «dopo» sarà come «prima». E che la crisi è passeggera rispetto a una legge economica e morale capace di sopravvivere alla pandemia e riportare il sole della «crescita» a splendere su quello che, in realtà, rischia di essere un deserto.

SU QUESTA prospettiva è Gentiloni a mostrare le idee più chiare: «Alla crisi non si può far fronte con strumenti usati in passato, perché origini e natura di essa non vanno confuse con quelle di 10-12 anni fa» ha detto. Quanto alla natura di questa crisi, sembra che l’auspicato andamento a «V», cioè una picchiata violenta e una rapida risalita del Pil (a meno 5% in Italia?), per il Commissario all’economia seguirà tutt’altro ritmo: a «U» o persino a «L», ovvero alla recessione seguirà una depressione. Giovedì potrebbe arrivare una risposta, ma anche quella potrebbe non essere definitiva, aggiungendo alla crisi dell’emergenza sanitaria, un’altra politica ed economica.

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