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Patronaggio: «I migranti preferiscono ammazzarsi piuttosto che tornare nell’inferno libico»

Patronaggio: «I migranti preferiscono ammazzarsi piuttosto che tornare nell’inferno libico»Luigi Patronaggio, capo della Procura di Agrigento

«I porti libici non sono sicuri», i migranti che fuggono dall’Africa «preferiscono ammazzarsi piuttosto che essere riportati in Libia». E le ong che li salvano non possono essere accostati ai […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 31 luglio 2019

«I porti libici non sono sicuri», i migranti che fuggono dall’Africa «preferiscono ammazzarsi piuttosto che essere riportati in Libia». E le ong che li salvano non possono essere accostati ai trafficanti di essere umani, a meno che non si provi che ci siano degli accordi ben precisi, solo in questo caso, e non può bastare una semplice telefonata, si può parlare di rilevanza penale.

A parlare in questi termini, davanti alla commissione Antimafia della Sicilia, è stato Luigi Patronaggio, capo della Procura di Agrigento. Il magistrato ha risposto per più di un’ora alle domande dei commissari che lo hanno convocato in audizione, a porte chiuse, per avere un quadro più chiaro.

Patronaggio, che coordina le inchieste sugli sbarchi a Lampedusa e nelle coste agrigentine, ha raccontato le storie drammatiche di alcune famiglie sbarcate in Italia, spiegando che «Il porto sicuro non è solo quello dove si mette in salvo la vita umana ma anche quello che assicura i fondamentali diritti umani e della persona». «Non è compito mio valutare le politiche migratorie e di contenimento del governo nazionale», ha aggiunto il procuratore che sul ruolo delle ong, finite nel mirino del Viminale, è stato netto: «Noi ci siamo occupati della zona Sar libica e del comportamento di alcune ong solo per valutare il loro operato, quando si rifiutano di portare in Libia i migranti». E «non c’è dubbio che la zona sar libica non è adeguatamente presidiata».

Una posizione che secondo Claudio Fava, presidente dell’Antimafia, non lascia dubbi all’interpretazione: «Il procuratore Patronaggio ha ritenuto di smentire, alla luce delle inchieste che ci sono state fino adesso, responsabilità penali delle ong, cioè collegamenti organici tra criminalità organizzata libica e le navi che hanno offerto assistenza.

Questo fuga ogni ombra e pregiudizio sul fatto che ci sia un accordo tra ong e organizzazioni libiche».

Non potendo entrare nel merito delle inchieste in corso, Patronaggio ha parlato del ruolo di alcune organizzazioni, allargando il fronte ai tunisini che gestirebbero i mini-sbarchi che proseguono senza sosta a Lampedusa.

Luigi Patronaggio[do action=”quote” autore=”Luigi Patronaggio”]«Il porto sicuro non è solo quello dove si mette in salvo la vita umana ma anche quello che assicura i fondamentali diritti umani e della persona»[/do]

«Ci sono organizzazioni tunisine che usano dei grossi pescherecci che fanno da ‘nave madre’ e che conducono le piccole imbarcazioni fino vicino alle coste italiane», ha sostenuto. Fava aggiunge: «Il procuratore ci ha anche detto che bisogna prestare attenzione soprattutto all’immigrazione proveniente dalla Tunisia, attraverso quella tratta possono annidarsi soggetti pericolosi».

Inoltre, riferisce Fava, che «c’è una parte del traffico di clandestini destinata direttamente al caporalato: arrivano in Italia e c’è chi li accompagna a lavorare in imprese compiacenti, spesso in accordo con la criminalità».

Quanto alle minacce subite da Patronaggio, il presidente dell’Antimafia ha sostenuto che «dopo il caso della Diciotti, ogni sua parola pubblica espone Patronaggio a minacce». «Ci ha riferito che gliene arrivano molte – dice Fava – Che si tratti di imbecilli o di gruppi organizzati, non vanno sottovalutate perché anche gli imbecilli possono essere pericolosi. Noi abbiamo la sensazione che le minacce al procuratore arrivino dagli ambienti che vedono con una certa ostilità la sua azione anche a tutela dei principi costituzionali oltre che le norme di legge sul tema dell’immigrazione».

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