Patrick Zaki, il nostro miglior studente
Patrick Zaki
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Patrick Zaki, il nostro miglior studente

Come si sopravvive al dolore fisico, alla paura, alla cella, come si fa a non uscirne pazzi, a non perdersi, a non giacere immobili, depressi su quel pavimento dove ti vogliono spento?
Pubblicato più di un anno faEdizione del 5 luglio 2023

Quattro giorni fa Patrick Zaki twittava «non ho ancora perduto la speranza di laurearmi in presenza, a Bologna», poi ieri, quando ha capito che il nulla osta non sarebbe arrivato, si è fotografato con una maglietta dell’Università più antica al mondo, sorridente. Dal giorno della speranza, al giorno della speranza delusa, al giorno della determinazione ad andare, della fierezza ad andare, sono trascorse poche ore. Eppure, ce l’ha fatta.

«Che cosa bella è l’uomo quando è uomo veramente», dice Menandro nel frammento 484, idea che permea qualunque facoltà umanistica, come quella in cui si laurea oggi Zaki, alla facoltà di lingue, e come è bello quando quest’uomo è giovane, più giovane di noi che ne saremmo, per età, per competenze vere o presunte, la guida, gli insegnanti e che lo osserviamo andare così fiero, così determinato.

Così noi qui, gente normale che ha seguito le sue ignobili vicende giudiziarie, noi che abbiamo tuonato contro i tre governi che non si spendono contro l’Egitto perché il soldo conta più dell’uomo, perché il mercato conta più dell’uomo, perché non sanno, non lo sanno «che cosa bella è l’uomo quando è uomo veramente»: ma noi qui, dicevo, gente normale che lo vede andare, nonostante tutto, portiamo nello sguardo due sentimenti. Il primo è quel «nonostante tutto». Un giorno, durante la detenzione, la madre di Patrick Zaki, tornò da un colloquio e disse ai giornalisti che il figlio aveva chiesto un antidolorifico per il mal di schiena, perché dormiva a terra, e un pezzo di sapone. Era due anni fa, io non l’ho potuto dimenticare, perché sono stata una studentessa, perché ho conosciuto tanti detenuti giovani, e perché mi sono sentita il cuore di quella madre.

Vedete, quando ti serve un pezzo di sapone il punto non è più cosa sostiene l’accusa e cosa la difesa; vedi, quando ti fa male la schiena la questione non sono dei post sulla minoranza religiosa copta. Il piano si sposta altrove e quell’altrove è: devo sopravvivere. La madre fuori, il figlio dentro. Come si sopravvive al dolore fisico, alla paura, alla cella, come si fa a non uscirne pazzi, a non perdersi, a non giacere immobili, depressi su quel pavimento dove ti vogliono spento?

Ognuno di noi ha un modo, io il mio lo conosco, e sono i libri. Quelli che leggevo, quelli che ho scritto. Studiare, imparare, motivarsi, significa sognare e perdersi, significa esperire con tutto, con la mente e con il corpo – ammesso che abbia senso dividerli -, che c’è qualcosa di più forte dell’ingiustizia ed è: la libertà, il senso di libertà, la militanza nella libertà che può dare lo studio.

Così arrivo al secondo sentimento contenuto nel nostro sguardo, mentre Patrick Zaki va davanti alla commissione di laurea, oggi, ed è nelle parole di quel pubblico ministero fascista, di cui nei libri è scritto pure il nome (ma io di certo qui non lo ripeterò, per non insozzare queste righe) che concluse la sua requisitoria contro Antonio Gramsci dicendo «bisogna impedire a questo cervello di funzionare per almeno vent’anni». Ecco, non ci è riuscito lui, allora, ma poi capita una cosa ancora più bella: che a volte quell’occorrenza si ripeta, e un detenuto politico, in una cella senza sapone, con la caparbietà dello studio, costringa il proprio cervello a funzionare, e ci riesca. Allora quella rosa che piantò Antonio Gramsci nelle Lettere dal carcere torna a fiorire. Ecco che Patrick Zaki può dire in un tweet «credo nella continuità dell’impegno e dello studio come resistenza». In questo senso è il nostro miglior studente, e l’Università di Bologna ha compiuto uno splendido lavoro. Ad maiora, dottor Zaki.


Aggiornamento ore 10.30 del 5 luglio – Patrick Zaki si è laureato con il voto di 110 e lode alla magistrale Gemma in Women’s e Gender studies dell’Università di Bologna. La cerimonia di proclamazione è avvenuta in collegamento dall’Egitto, visto che il ricercatore non ha ottenuto il permesso di andare a Bologna per discutere la tesi. “Sono grato a tutti, sono fortunato ad essere uno studente dell’Università di Bologna, e ringrazio le istituzioni, la città e tutti coloro che mi sono stati vicino, spero presto di essere lì con voi”. Così Patrick Zaki ha commentato il conseguimento della laurea magistrale. Nel ringraziare ha citato Nelson Mandela: “Sembra sempre impossibile finché non viene fatto, questa frase si avvicina molto al mio caso”.

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