Parolin: «Lo Stato è laico ma il ddl Zan è troppo vago»
Il segretario di Stato Vaticano Il cardinale spiega che la nota doveva restare riservata: si trattava di un documento interno
Il segretario di Stato Vaticano Il cardinale spiega che la nota doveva restare riservata: si trattava di un documento interno
Dopo la presa di posizione del Vaticano sul ddl Zan, dopo le reazioni politiche, dopo le parole di Draghi e i toni concilianti venuti da Oltretevere, è tempo di ovvietà. A quelle del presidente del Consiglio, che davanti ai senatori ha affermato che lo Stato è laico (chi, da destra a sinistra, avrebbe mai potuto affermare il contrario?) fanno eco le parole del segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin, che – intervistato dall’agenzia Vatican News – si è detto d’accordo con il presidente del Consiglio. Anche per il segretario di Stato Vaticano «lo Stato italiano è laico, non è uno Stato confessionale»: «Concordo pienamente con il presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento italiano». Come avrebbe mai potuto dire diversamente?
Nel merito della nota, Parolin spiega che per il Vaticano il problema sta nel concetto di discriminazione che nel ddl «resta di contenuto troppo vago. In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo».
Sulla divulgazione dei contenuti della nota da parte del Corriere della Sera – nonostante fosse del tutto prevedibile che potesse avvenire – il card. Parolin si mostra invece sorpreso: «Si trattava – ha detto – di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica. Un testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni e non certo per essere pubblicato». Noi, afferma il Segretario di Stato vaticano, «ci siamo limitati a richiamare il testo delle disposizioni principali dell’Accordo con lo Stato italiano, che potrebbero essere intaccate. Lo abbiamo fatto in un rapporto di leale collaborazione e oserei dire di amicizia che ha caratterizzato e caratterizza le nostre relazioni».
Questo da parte vaticana. E il governo italiano? Sulla discussione in corso nel merito del ddl Zan, nel suo discorso a palazzo Madama, Draghi aveva detto: «Come vedete, il governo la sta seguendo ma questo è il momento del parlamento, non è il momento del governo». Certo, è il momento del parlamento, cui spetta approvare le leggi. Ma la nota della Santa Sede era diretta al governo italiano. Ed è stata consegnata il 17 giugno. Anche se i tempi della diplomazia sono talvolta più lunghi di quelli politici, ci si poteva attendere una replica. Tanto più dopo che – il 21 giugno – il contenuto della nota era stato anche reso pubblico. Inoltre, se è vero che il Concordato è sottoscritto dallo Stato e dalla Chiesa cattolica, altrettanto vero è che a firmarlo, e a trattare nella fase della sua stesura, sono la presidenza del Consiglio da una parte e la Segreteria di stato vaticana dall’altra. Avvenne nel 1929 (con l’accordo sottoscritto da Mussolini e dal card. Gasparri); e di nuovo nel 1984 (stavolta con Craxi e il card. Casaroli). Solo dopo (legge n. 121/85), arrivò la ratifica del parlamento italiano.
Rispetto poi al peso che l’intervento vaticano può avere anche sul tema della scuola cattolica (e sull’eventuale organizzazione ad esempio di attività in occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, che viene istituita con il ddl Zan) è intervenuto il Comitato bolognese Scuola e Costituzione (quello che promosse, e vinse, il referendum consultivo del 2013 per destinare alla sola scuola pubblica i fondi comunali destinati agli asili bolognesi): «Riteniamo che solo la scuola pubblica abbia il compito, il dovere e il privilegio costituzionale di perseguire positivamente il pluralismo e le pari opportunità e la lotta alle diseguaglianze: le scuole private possono invece fare quello che ritengono più opportuno», a condizione però di «rinunciare alla parificazione con le scuole statali».
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