È un no definitivo quello che la Corte di Cassazione di Parigi ha opposto alla richiesta di estradizione in Italia di dieci ex militanti dell’estrema sinistra di quarant’anni fa. La vicenda era in piedi dal 2021, quando scattò l’operazione Ombre Rosse e vennero arrestati l’ex Lotta Continua Giorgio Pietrostefani; gli ex Br Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio Di Marzio ed Enzo Calvitti; l’ex Autonomia Operaia Raffaele Ventura; l’ex Pac Luigi Bergamin e l’ex Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale Narciso Manenti. Tutti di età compresa tra i 69 e i 72 anni e rifugiati in Francia da almeno un quarto di secolo.

GIÀ A GIUGNO dell’anno scorso la Corte d’Appello di Parigi si era opposta alla richiesta del governo italiano, motivando la sua decisione con due articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sottolineando anche come per trent’anni queste persone siano state praticamente dimenticate dalla giustizia, salvo poi tornare di moda all’improvviso dopo un incontro tra l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia e il suo omologo francese Éric Dupond-Moretti.

In principio il governo di Roma aveva presentato una lista con oltre duecento nomi da arrestare e rimpatriare, ma alla fine il compromesso fu raggiunto su nove ex condannati per terrorismo più Giorgio Pietrostefani, colpevole dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Anche il presidente Macron si era fatto notare come grande sponsor dell’iniziativa, rompendo con la tradizione della dottrina Mitterand (che impediva i rimpatri) e arrivando addirittura a parlare degli arresti di Ombre Rosse come di un «momento storico». I dieci, comunque, vennero rimessi in libertà nel giro di qualche giorno, in attesa di un pronunciamento dei giudici.

«QUESTA DECISIONE della Corte di Cassazione rappresenta la vittoria di un diritto a cui ho sempre creduto contro gli smarrimenti politici – commenta l’avvocata di sette dei dieci ex militanti Irène Terrel -. Parliamo di una sentenza definitiva che si basa sul merito: è la consacrazione giudiziaria del diritto di asilo e chiude un capitolo lungo 40 anni».

I GIUDICI FRANCESI hanno ritenuto non adeguati i processi italiani, per lo più avvenuti in contumacia, e hanno affermato che, a distanza di tanti decenni dai fatti, non si possa non tener conto del diritto di chiunque ad avere una vita privata e familiare senza dover subire una persecuzione a vita. Conclude Terrel: «Le persone sono esseri umani che cambiano. Non possono essere ridotte, fino alla fine dei loro giorni, ad atti che possono aver compiuto a 18 o a 20 anni. Non si debbono tenere aperte le piaghe per l’eternità e questo non significa non rispettare le vittime. Uno Stato però deve andare verso soluzioni politiche».

IN ITALIA, INTANTO, le reazioni sono per lo più indignate, fatta salva quella di Alberto Di Cataldo, figlio di Francesco, maresciallo dei carabinieri ucciso dalle Brigate Rosse a Milano nel 1978: «Ormai sono passati più di 47 anni, la pena in sé mi interessa fino a un certo punto e trovo giusto ciò che ha fatto la Cassazione francese. La vera partita non è l’estradizione, ma capire se i dieci daranno un loro contributo a capire quanto successo in quel periodo».

Alberto Di Cataldo
Giusta la decisione dei giudici, serve solo la verità
In Italia, però, ad essere maggioritaria è ancora la linea della forca come mezzo utile a risolvere le questioni storiche, e dunque le dichiarazioni sconcertate sulla sentenza di Parigi fioccano. «È uno smacco alla nostra nazione, alle vittime e alle loro famiglie», tuona indignato il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti. «Respingono i bambini immigrati alle frontiere ma coccolano gli assassini brigatisti», alzano il tiro dalla Lega. Riccardo De Corato, vicepresidente di Fdi della Commissione Affari Costituzionali alla Camera, invoca l’intervento delle «magistrature sovrannazionali» contro «l’ennesimo rifiuto dei tribunali francesi» di rendere all’Italia dei «feroci assassini».

Più laconico il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che si limita a prendere atto e sostiene che, in ogni caso, «l’Italia ha fatto tutto quanto in suo potere, perché fosse rimosso l’ostacolo politico che per decenni ha impedito alla magistratura francese di valutare le nostre richieste». Dupond-Moretti, dal canto suo, ha in più occasioni sottolineato la sua volontà di cercare di accontentare l’Italia sull’estrazione di questi dieci rifugiati, chiarendo una volta per tutte quanto la questione sia stata politica più che giudiziaria. Ma c’è un giudice a Parigi.