Clearview e Palantir, o di quando il sostegno – richiesto e offerto – rischia di sporcare qualsiasi causa. Semplicemente perché loro non hanno una “causa” che non sia il profitto, il loro profitto, fatto a spese dei diritti umani.

Naturalmente si parla di guerra, della guerra scatenata da Putin in Ucraina. E tre settimane dopo l’invasione – quando già si contavano centinaia di morti – Clearview ha pensato bene di sfruttare la tragedia. Ed ha offerto i suoi servizi al governo ucraino.

Già, ma di che servizi si tratta?

Clearview non è una delle tante big tech, non è una delle tante società per il “controllo”: è il gruppo di sorveglianza per definizione. Il più grande al mondo, il più pericoloso. Raccoglie, senza permesso e senza consenso, qualsiasi foto trovi in rete e attraverso un algoritmo di riconoscimento facciale le archivia nel suo gigantesco, sterminato database. Con uno strumento di ricerca – assicurano i ricercatori – facilissimo da usare.

Fino ad ora Clearview ha venduto il suo “pacchetto” alle polizie di tanti paesi ed a gruppi privati. Tante vendite ma quasi altrettante cause legali. Solo dal maggio dell’anno scorso, in quattro nazioni occidentali – Canada, Australia, Regno Unito e Francia – i giudici hanno emesso sentenze chiarissime: il gruppo deve cancellare tutte le foto raccolte nei loro paesi. Non solo perché raccolte senza permesso ma – come scrive la sentenza canadese – perché quelle immagini e l’uso che se ne può fare “mettono a rischio i diritti umani”.

In Italia, infine, l’ultima “condanna” dal garante per la protezione dei dati, neanche un mese e mezzo fa, con l’obbligo a non usare mai più i dati raccolti qui da noi ed una multa di venti milioni di euro per sanzionare la pratica del data scraping, la pesca a strascico di informazione nella rete.

Hoan Ton-That, AD di Clearview AI, foto di Seth Wenig /Ap

Poi, proprio quando la sua reputazione era ai minimi, è arrivata la guerra. Un’occasione per Clearview, un’occasione per provare a rifarsi il look. E sull’onda dello sdegno per i carri armati russi che entravano in Ucraina, ha offerto al governo di Zelensky il suo database di volti, raccolti in violazione di qualsiasi legge e norma.

Database che comprendono – si vanta pure di questo Clearview – anche le immagini di centinaia di milioni di persone russe, rubate su VKontakte, il facebook made in Mosca. E’ la prima volta che il riconoscimento facciale viene usato in una guerra.

E a che servirà? Mykhailo Fedorov, uno dei volti televisivi più conosciuti del governo di Kyiv, responsabile della trasformazione digitale – lo stesso che all’indomani dell’invasione fece appello agli hacktivisti di tutto il mondo perché lo aiutassero nella cyber resistenza alla Russia – in un’intervista a TechCrunch ha detto di non poter rivelare nei dettagli a cosa servirà quell’immenso database. “A dare un nome ai soldati russi morti o catturati”, si dice. Ma anche ai posti di blocco per identificare le persone.

Con i rischi che chiunque può immaginare. Con il rischio – per usare l’espressione delle associazioni per i diritti umani e digitali – di “curare una ferita con una benda infetta”. Col rischio di sbagliare identificazione – l’errore negli algoritmi è del 40 per cento, che diventa del 70 per cento se si considerano le minoranze etniche – che però in uno scenario di guerra può significare la morte.

Se un ukraino viene scambiato per un russo, se un disertore russo viene certificato come combattente. E per mille altre ragioni. Al punto che l’Edri, l’European Defending Rights – un’associazione che in genera pesa le parole e che non si sbilancia mai molto – dice che “le pratiche di Clearview illegali nel mondo, diventano intollerabili in una guerra”.

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Poi, c’è Palantir. Qui le cose sarebbero meno gravi nel concreto ma – se possibile – sono ancora più inquietanti. Perché nella terza settimana di guerra – in una strana coincidenza con l’operazione Clearview – il Ceo del gruppo, Alexander Karp, ha pubblicato una sorta di lettera aperta al mondo, all’Europa, all’Occidente. Al suo Occidente, “che vuole difendere”.

Prima di entrare nel merito di quel che la lettera rivela vale la pena ricordare cos’è Palantir. Un gruppo – ufficialmente specializzato nell’esame “di grandi insieme di dati” – nato col sostegno economico di In-Q-Tel, il braccio di investimento della CIA.

Il maggiore azionista è Peter Thiel, un miliardario con radici tedesche, fondatore di PayPal, che ha sostenuto Donald Trump con tanto denaro e tante parole, che fino a non molto tempo fa si opponeva anche al voto delle donne. Crea servizi per le polizie, i servizi segreti, gli eserciti, a cominciare ovviamente da quello americano.

Peter Thiel, fondatore di Palantir, foto Ap

Il suo software di punta è quello di “polizia predittiva”, col quale – come nei film distopici – i funzionari sono in grado in grado di anticipare gli autori dei crimini. Tradotto: fa il lavoro sporco che le autorità, vincolate dalle leggi, non possono fare.

Anche qui, tante le denunce, tanti i processi, voluti dalle organizzazioni umanitarie, da Aclu ad Eff. Il caso più eclatante riguarda l’uso – durante la presidenza Trump – fatto dalla polizia di frontiera Usa degli strumenti targati Palantir per dare la caccia ai migranti. E per rintracciarli ovunque.

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Questo è il pregresso. Ora, visto il clima, il Ceo del gruppo s’è sentito autorizzato ad analizzare la situazione. Per spiegare – ovviamente – che l’Occidente ha sbagliato a non accorgersi delle mire espansionistiche di Putin, ha sbagliato a sottovalutare l’avversario. Ma soprattutto ha sbagliato l’opinione pubblica del vecchio continente a “credere ai suoi sogni”, alla possibilità di una pace duratura.

Ora però c’è un rimedio. Quale? “Un apparato forte”, che si liberi di lacci e lacciuoli imposti dalle legislazioni. Un apparto statale forte che non abbia limiti nella sorveglianza, l’unica in grado di garantire la “libertà individuale”.

Certo, il Ceo sa bene che il controllo inibisce i diritti. Ma nel suo ragionamento questo è un prezzo da pagare. Un prezzo a tempo: quel tipo di Stato funzionerà in quel modo solo fino a quando paesi e persone non avranno “mezzi propri per la difesa personale” e collettiva.

Ed è qui che Alexander Karp piazza, a nome del gruppo, il suo spot: l’Europa, questa Europa è troppo indietro nelle tecnologie, nello sviluppo delle intelligenze artificiali. Avrebbe bisogno di un sostegno. Come quello che può offrire Palantir.

Questa la lettera, il documento. Se non ci fossero le immagini di morti, di devastazioni, di esecuzioni di prigionieri si potrebbe anche fare dell’ironia. Ma la guerra, l’orrore è anche questo: ridà spazio a chi propone di vivere a Libria, il mini Stato immaginato e filmato da Kurt Wimmer, in un b-movie fantascientifico di vent’anni fa. Ridà spazio a chi lucra sulle sofferenze.