Due ex primi ministri che rivendicano la vittoria, un capo dell’esercito che dice «fate i bravi», un ex parlamentare ferito alla gamba, proteste e manifestazioni contro presunti brogli. A lungo rimandate, le elezioni che si sono tenute tre giorni fa in Pakistan avrebbero dovuto risolvere la profonda crisi politica del Paese, successiva alla destituzione del primo ministro Imran Khan nell’aprile 2022. Ma hanno finito per aggravarla, precipitando il Paese in uno stallo ancora più grave.

A DICHIARARSI vincitori, infatti, sono sia l’ex giocatore di cricket Imran Khan, fondatore e leader del partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), in carcere dall’agosto 2023 e sul quale la magistratura, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento e di quattro assemblee legislative nazionali, ha fatto piovere tre ulteriori condanne. Sia il candidato dato favorito alla vigilia per la carica di primo ministro, Nazaw Sharif, leader della Pakistan Muslim League-Nawaz, rientrato in patria lo scorso ottobre dopo il via libera dell’esercito. Dal carcere di Islamabad, Imran Khan ieri ha rilasciato una dichiarazione audiorealizzata con l’intelligenza artificiale: «Abbiamo vinto le elezioni del 2024 con una maggioranza di due terzi…Tutti hanno visto la forza del vostro voto. Ora dovete dimostrare la capacità di salvaguardarlo». Così Khan, per il quale i candidati affiliati al Pti, costretti a presentarsi come indipendenti e senza il simbolo elettorale del partito, avrebbero ottenuto 170 seggi. Uno in più rispetto alla soglia che fa raggiungere la maggioranza semplice alla Camera bassa composta da 336 seggi (di cui 266 assegnati con il voto, 70 riservati alle minoranze e assegnati ai partiti secondi calcoli percentuali). I dati della Commissione elettorale, sotto un fuoco di critiche per il ritardo nello spoglio, ancora incompleto sabato sera, raccontano però un’altra storia. I candidati affiliati al partito Pakistan Tehreek-e-Insaf di Khan hanno ottenuto il maggior numero di seggi, 92, ma non la maggioranza. Sono 71 invece i seggi aggiudicati dalla Pakistan Muslim League-Nawaz, 54 dal Ppp, il Pakistan People’s Party di Bilawal Bhutto Zardari.

NAWAZ SHARIF ha voluto anticipare tutti, rivendicando già due giorni fa la vittoria e annunciando di aver dato mandato al fratello Shebbaz, primo ministro nel governo che nell’aprile 2022 ha sostituito quello di Imran Khan, di avviare discussioni con il partito di Bhutto Zardari. Che ieri però ha giudicato prematuro ogni incontro che preceda i risultati definitivi. In realtà, sono ore di febbrili incontri e discussioni per vecchie e nuove alleanze, anche con i partiti minori. Quanto ai risultati definitivi, ancora non ci sono, ma sono già contestati.
Imran Khan e i suoi seguaci sono convinti che il ritardo nello spoglio nasconda le manovre dell’esercito per nascondere la clamorosa affermazione del suo partito, arrivato al potere nel 2018 anche grazie al sostegno dell’establishment militare, con cui poi i rapporti sono degenerati. Proprio i militari hanno provato a marginalizzarlo politicamente, senza successo, ma polarizzando la società.

DI FRONTE a simili risultati elettorali, ora è proprio l’esercito a invocare l’unità. «Le elezioni non sono una competizione a somma zero tra vincitori e vinti, ma un esercizio per determinare il mandato del popolo», ha dichiarato il generale Asim Munir. Per il capo dell’esercito, i partiti dovrebbero mostrare «maturità e unità politica» e «abbandonare la politica dell’anarchia e della polarizzazione».

Al contrario, aumentano le contestazioni. Proteste contro irregolarità nel conteggio dei voti nella città sud-occidentale di Gwadar, nella provincia del Belucistan, e proteste dei partiti Jamaat-e-Islami e Pakistan Tehreek-e-Insaf a Karachi. Mentre a Miranshah, nel Waziristan del nord, Mohsin Dawar, ex parlamentare e leader del National Defense Movement Party, voce critica sulle ingerenze dell’esercito, è stato ferito da un colpo d’arma da fuoco mentre protestava pacificamente.