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Pajata, vino e lotta

Pajata, vino e lotta

La storia in cucina Nelle bettole come nei cantinoni di inizio ’900 si beve, si mangia, si canta. E certo si parla di politica. I socialisti spoletini fanno le riunioni di redazione la notte, a lume di candela

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 luglio 2023

Al principio del XX secolo nella città di Spoleto sono molteplici i locali in cui si fa mescita di vino e che rappresentano luoghi fondamentali per la socialità delle classi più povere. Lì si parla dei propri problemi ma anche di lavoro, attualità, lotta e politica. Ci sono i cantinoni, spacci generalmente situati nei locali su strada di alcuni palazzi nobili o addirittura in chiese sconsacrate. Come a palazzo Pianciani (appartenente alla famiglia di Luigi Pianciani, garibaldino e democratico che diventerà sindaco di Roma) o in quello dei Pila, in via del Macello Vecchio o nell’ex chiesa di S. Martino. Si consuma soprattutto locale, vino di montagna, ma piacciono molto anche i vini pugliesi come quello di Corato, Alezio e Gallipoli così squisito, commenta un cronista su un giornale locale dell’epoca citando il libro IX della Genesi, da «fare ubriacare un’altra volta Noè con tutti i suoi figliuoli».

Ci sono poi le bettole, stanze adiacenti alle botteghe che vendono generi alimentari dove si può bere vino e mangiare qualcosa: un panino con salame o formaggio, alicette sotto sale, aringhe affumicate o, quando è presente un camino, del cibo alla brace. Sulle graticole si cuociono salsicce di fegato, pajata e baccalà, arrostito sui carboni e condito con una salsa a base di olio, aceto e prezzemolo. Molto apprezzati sono i budelletti, in dialetto vutellétta, cioè budella di maiale lavate con acqua e aceto, riempite di lardo e finocchietto ed essiccate vicino al camino. Una volta pronte si tagliano a pezzi, si infilano allo spiedo e si arrostiscono alla fiamma.

Nelle bettole come nei cantinoni si sta insieme, si beve, si mangia, si suona e si canta accompagnati da chitarra, organetto, violoncello. Ovviamente si parla di politica. I socialisti spoletini fanno le riunioni della redazione del loro giornale la Giovane Umbria di notte, al lume di candela, in aperta campagna per non essere ascoltati dal delegato di polizia. Questi incontri si spostano da Gozzoviglio dove i giovani militanti vanno a farsi un bicchierino, chiamato pitino. Forse si tratta del locale di Fioroni Pietro, oste socialista che viene controllato dalla polizia reo di ricevere costantemente il giornale Lotta di classe.

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Favorite dal massiccio consumo di vino in cantine, bettole e osterie scoppiano liti e risse che spesso nascono da questioni politiche. In città c’è una forte tensione tra i minatori che lavorano nelle miniere di lignite, giacimenti del territorio spoletino utilizzati per rifornire di carbone l’Acciaieria di Terni. La crescente richiesta di manodopera attira lavoratori di altre regioni: sono molti i romagnoli che arrivano da Cesenatico a causa della profonda crisi delle zolfatare. I minatori locali guardano con diffidenza i romagnoli perché ai loro occhi rappresentano pericolosi rivali, anche perché gli spoletini hanno aderito in massa alle idee socialiste mentre gli «esotici», come sono chiamati i minatori che vengono dalla Romagna, sono repubblicani.

LE LITI SCOPPIANO di frequente e spesso la diatriba finisce a colpi di coltello. I padroni giocano su queste tensioni e puntano a mantenere divisi i lavoratori, ma grazie al lavoro della sezione socialista alla fine si riesce a ricomporre. La mossa vincente arriva il 26 aprile 1902 con l’organizzazione di un comizio di Andrea Costa, oratore capace di galvanizzare le folle di proletari, icona vivente del socialismo italiano che grazie alle origini romagnole entusiasma particolarmente i lavoratori della sua regione.

Il rapporto tra proletariato e osteria è questione su cui il partito socialista si interroga mettendo al centro della discussione l’aspetto più problematico: l’abuso di alcol da parte degli operai. Nel corso dei decenni il partito modifica la propria posizione, da una prima lettura classista della società che individuava l’alcolismo come effetto della povertà e delle disperate condizioni di vita del proletariato, un fenomeno sociale prodotto dal capitalismo, si sposta su posizioni profondamente moraliste che ne ribaltano l’analisi individuando nel vino una delle possibili cause della degenerazione della classe operaia.

La battaglia lanciata dai dirigenti socialisti contro l’abuso di alcool è motivata da una molteplicità di fattori. Uno dei più importanti è il controllo della socializzazione e del tempo libero degli operai. A differenza degli ultimi decenni del XIX secolo quando i militanti si riunivano nelle osterie per mancanza di sedi, ora il movimento si è dotato di proprie strutture organizzate: sezioni, case del popolo, biblioteche popolari, circoli operai. Luoghi in cui si cerca di elevare le condizioni culturali, morali e fisiche dei lavoratori. Vi è quindi un discorso di concorrenza con osterie, bettole e gli altri luoghi dove il proletariato trascorre il proprio tempo libero. All’interno di questo contesto il segretario Filippo Turati lancerà la campagna politica Libro contro litro!

Altri motivi di ostilità ai comportamenti diffusi sono di natura pratica e riguardano la necessità di mantenere la lucidità nei passaggi decisivi della lotta operaia. Questo aspetto rappresenta un problema per la dirigenza del partito socialista che, non senza paternalismo, cerca di proporre ai lavoratori la complessità della politica e dell’organizzazione. Un tentativo che a volte si scontra con la radicalità e l’urgenza propria delle rivendicazioni operaie. In questa continua ricerca di equilibrio tra strategia a lungo termine e impellenza dei bisogni, l’abbondante consumo di vino può risultare controproducente.

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NEL 1906 a Spoleto scoppia un’importante protesta alle miniere. Gli operai vogliono il controllo sul peso dei vagoncini che trasportano la lignite dopo che hanno scoperto una truffa realizzata dall’azienda: da ognuno dei vagoni mancano infatti 60 chili di lignite. Motivo per cui ai lavoratori non viene riconosciuto il giusto compenso per i loro sforzi. Si proclama lo sciopero, tutti i minatori incrociano le braccia, una commissione composta da dirigenti socialisti, una rappresentanza di operai e il segretario della camera del lavoro di Terni incontrano il direttore generale della miniera e il sottoprefetto. Si rivendica il controllo operaio sulla pesa del carbone e l’aumento del salario. La dirigenza allontana i due responsabili della truffa ma sul resto non dà risposte. La commissione ritorna in assemblea, sono più di mille i minatori in attesa. I socialisti spiegano come è andata la trattativa cercando di sottolineare gli aspetti favorevoli ma gli operai non sono disposti ad attendere ulteriormente e un grido si alza compatto dalla folla: Sciopero! Sciopero!

A QUESTO PUNTO un giovane operaio sale sul palco improvvisato, parla in modo concitato, propone di muoversi in corteo fino alla miniera per spegnere le macchine e allagare i pozzi. Pasquale Laureti, avvocato socialista membro della delegazione che è andata a trattare con la proprietà, prende la parola per stigmatizzare la proposta del giovane minatore ma le sue parole vengono coperte dalle grida degli operai che vogliono continuare la battaglia. Laureti aspetta che la situazione si calmi e poi ricomincia a parlare con tutta la voce che ha in gola. Ecco le sue parole: «Io vengo a difendervi ma non vi seguo se farete atti inconsulti! Certe lotte vanno combattute con serietà e senza facili entusiasmi, a stomaco asciutto e soprattutto senza vino!». L’assemblea si calma, ma si vota per proseguire lo sciopero.

IL CIBO è solidarietà e la solidarietà può rappresentare un incredibile strumento di battaglia politica. Nel 1907 le famiglie dei minatori e in generale le famiglie proletarie spoletine si organizzano per sostenere la battaglia degli operai dell’acciaieria di Terni. La Società ha deciso la serrata della fabbrica per sfiancare i lavoratori in lotta e prenderli per fame. Si organizzano collette, auto-tassazioni e raccolte di fondi e cibo per i lavoratori della Terni ma visto che la serrata continua da oltre due mesi gli spoletini offrono di ospitare i bambini figli degli operai ternani per ridurre le spese delle famiglie e aiutarli a resistere (lo stesso faranno anche a Foligno, Forlì e Genova). Sono i cosiddetti serratini che saranno ospitati da alcune famiglie locali, nel ricreatorio popolare e nell’orfanotrofio cittadino.

Il 26 maggio 1907 arriva il treno da Terni. La Spoleto socialista e proletaria è tutta nella piazza antistante la stazione. I bambini scendono dal vagone di terza classe, hanno lo sguardo confuso. Per rassicurali sono offerti loro dolci e pastarelle. Parte un corteo guidato dalla fanfara. Attraversa le vie cittadine fino al ricreatorio popolare dove il comune, a guida socialista, ha organizzato un ricco pranzo con maccheroni fumanti. Mentre il serpentone attraversa il centro si alza una dolce canzone cantata dai bambini ternani: «Siamo figli dei serrati/ dei serrati della Terni/ siamo piccoli e innocenti/ noi vogliam la libertà!»

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