«Viva la ricotta!». Questo è l’urlo che rimbomba tra le strade del centro della capitale e supera il fragore di vetrine rotte e porte sfondate. Sono i disoccupati di Roma che danno vita a una delle più violente manifestazioni che la città abbia mai conosciuto. Si aggirano in bande di venti persone, armati di spranghe, picconi, pale e sassi. Si dirigono verso Montecitorio prendendo d’assalto depositi alimentari, forni e poveri cascherini che incontrano lungo il percorso, addentando le calde pagnotte con grande voracità. Non sono risparmiate nemmeno gioiellerie e negozi di abbigliamento. È l’8 febbraio 1889, nella Roma giovane capitale d’Italia si respira un clima incandescente: sono gli effetti della crisi che ha posto termine alla cosiddetta febbre edilizia, un periodo di euforica crescita economica cominciato nel 1883 e crollato tragicamente alla fine del 1887.

Il prezzo più pesante lo paga il proletariato, un esercito di contadini espropriati e impoveriti che si riversano dalle altre zone dell’Italia centrale attirati dalle possibilità legate alla ricostruzione della città. Si stima che a dicembre del 1887 siano 30mila i disoccupati e oltre 10mila i soggetti allontanati con fogli di via. Le condizioni di vita delle classi subalterne sono drammatiche. Poveri cristi arrivano a Roma senza famiglia per cercare lavoro nei cantieri e si ritrovano a dormire nelle baracche o sulle scalinate delle basiliche sotto le stelle. Durante la febbre edilizia si sono cominciati a edificare interi quartieri senza alcun criterio urbanistico e igienico, con l’obiettivo di realizzare il maggior numero di cubature possibile per ricevere maggiori sovvenzioni da banche e istituti. I lavori sono però interrotti quando giunge la crisi, lasciando così interi fabbricati abbandonati e senza servizi.

È proprio nelle lunghe riunioni che si svolgono tra i tavoli che si organizza il grande comizio unitario per la festa del lavoro del Primo maggio 1891

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Lasagne, beccacce e socialismoÈ QUESTO il caso del quartiere popolare di San Lorenzo, iniziato a costruire tra 1880 e 1884, dove un’umanità in condizioni di assoluta povertà e miseria trova ricovero in edifici sistemati alla buona. Nel quartiere vivono operai ma ci sono anche tanti disoccupati, sottoccupati e sbandati che devono trovare il modo di sbarcare il lunario ricorrendo spesso a espedienti extra legali. Un terreno ideale per la proliferazione di idee radicali, socialiste e anarchiche. La tragiche condizioni abitative determinate dalla mancanza di servizi e dal disastroso sovraffollamento, in ogni appartamento vivono più nuclei familiari, fanno sì che l’osteria rappresenti il luogo dove sfuggire momentaneamente alla miseria quotidiana, dove bere un bicchiere di vino e scambiare due parole con gli altri abitanti del quartiere che condividono la stessa condizione. La sera scendono intere famiglie che portano con loro i «fagotti» con le cose da mangiare, mentre gazzosa e vino si comprano al bancone. È in questi luoghi di incontro del popolo dove, tra un bicchiere e l’altro, si discute di lavoro, sfruttamento e fame. È proprio nelle osterie chiassose e sature di fumo che nascono le prime forme di organizzazione politica del movimento operaio.

Le osterie sono il parlamento del popolo, sosteneva Honorè de Balzac. Un concetto molto chiaro al deputato dell’estrema sinistra storica Salvatore Barzilai, che frequenta assiduamente le bettole di Trastevere e Testaccio. Il parlamentare è solito offrire da bere in grande quantità, tanto che ogni volta che l’oste gli si avvicina e chiede «Onorevole un litro?» lui immancabilmente risponde «Due!». La gratitudine del popolo romano si manifesterà attribuendo alla caraffa del doppio litro il nome dello stesso Barzilai.

A San Lorenzo è il movimento anarchico che mostra maggior capacità di intercettare le istanze popolari e i militanti organizzano abitualmente le loro riunioni politiche tra le tante osterie diffuse nel quartiere. C’è un locale gestito proprio da un anarchico, tale Zacone, che si trova all’angolo tra via dei Latini e via dei Sabelli, in cui si usano incontrarsi i compagni per discutere, bere e cantare canzoni politiche. È proprio nelle riunioni che si svolgono tra i tavoli delle osterie di San Lorenzo che si organizza il grande comizio unitario per la festa del lavoro del Primo Maggio 1891, mobilitazione mondiale lanciata appena due anni prima al congresso costitutivo della Seconda Internazionale. La manifestazione a cui partecipa anche il leggendario Amilcare Cipriani, garibaldino e comunardo, si rivela una trappola organizzata dal ministro degli interni Nicotera e la giornata finisce con gli scontri tra polizia e manifestanti a Santa Maria Maggiore. Muoiono una guardia di pubblica sicurezza e Antonio Piscitelli, carrettiere sanlorenzino di origine umbre che per lavoro consegnava vino, salumi, verdure e formaggi alle osterie del quartiere. Piscitelli ha 21 anni e viene ucciso da un colpo di fucile Wetterly sparato da un agente. I fascisti sono consapevoli del potenziale sovversivo delle osterie. E per questo vengono infiltrate spie e delatori per carpire i discorsi degli avventori

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Pane e politica ai tavoli del Coopi

LE OSTERIE dei nuovi quartieri popolari non rappresentano solo importanti luoghi dell’organizzazione politica. Al n. 14 di vicolo di Sant’Anna in pieno centro cittadino c’è l’osteria del repubblicano Pio Bovi che, come descritto negli atti della Procura, è frequentata da compagni di partito e anarchici. Lì si organizza la sottoscrizione per il giornale anarchico il Novatore. Dietro piazza di Spagna, in via Mario de’ Fiori 56, si trova l’osteria del socialista Felice Belli che è «luogo di abituale riunione dei maggiorenti del partito». L’oste la notte dell’11 settembre 1898 viene arrestato per aver partecipato a un complotto ideato per provocare disordini col pretesto del rincaro del pane. C’è poi una figura molto particolare che gravita nella galassia anarchica: è Augusto Volpi, un giovanotto con grandi baffi e stazza imponente, cresciuto in una famiglia mazziniana ad Acuto, nel frusinate, dove insieme a quattro fratelli matura idee libertarie. Volpi possiede una vasta tenuta nella zona di San Paolo e ha uno spiccato senso imprenditoriale, nel 1907 acquista una cava di pozzolana e una fornace alla Magliana.

È UN PADRONE anomalo, condivide l’ideale anarchico con gli operai fornaciai molti dei quali sono sovversivi e anarchici romani disoccupati che altrimenti non troverebbero alcun impiego. Con i ricavi della sue attività Volpi finanzia il movimento sostenendo l’azione politica di Errico Malatesta con cui è legato da una profonda amicizia. Oltre che nell’edilizia Augusto investe anche nell’acquisto di diverse trattorie che servono a raccogliere fondi utili alla causa e ospitare riunioni clandestine. Prima ne prende una in via Marmorata a Testaccio dove si riuniscono anarchici, repubblicani e socialisti. Poi la cede e nel 1907 compra un grande casolare a San Paolo dove darà vita alla famosa Trattoria Volpi, dove oggi si trova la Città dell’Utopia. Anche qui si incontrano i militanti per organizzare scioperi e battaglie politiche ma anche per mangiare, ballare e divertirsi. Sempre in questo luogo, qualche anno più tardi, si riuniscono clandestinamente antifascisti ed esponenti dei partiti di sinistra che si oppongono al regime. La polizia lo controlla, nel ‘32 Augusto partecipa ai funerali di Malatesta attirandosi l’ira dei fascisti che decidono di colpire il meccanismo economico creato da Volpi che tanto aveva contribuito alle battaglie del movimento. Fanno espropriare la quasi totalità dei suoi beni dal Governatorato di Roma.

L’esterno della storica trattoria Volpi a Roma

Se nei primi due decenni del XX secolo i luoghi di incontro e socialità delle classi subalterne si moltiplicano e differenziano con l’apertura di case del popolo, sezioni di partito, biblioteche popolari e altri spazi di democrazia di cui si dota il movimento operaio, con l’avvento del fascismo e la chiusura di tutti questi luoghi l’osteria torna a essere l’unico posto dove si possono scambiare due parole, raccontare qualche barzelletta a sfondo politico e incontrare i compagni di vecchia fede. Nonostante in ogni locale sia affisso sopra il bancone il cartello «Qui non si parla di politica!» i fascisti sono consapevoli del potenziale sovversivo delle osterie e guardano con sospetto chi le frequenta. Per questo infiltrano spie e delatori che hanno il compito di carpire i discorsi degli avventori e tutto ciò che può essere inteso come critica al Duce. Gli osti sono tenuti sotto controllo e verso di loro si utilizzano sia strumenti amministrativi, come la possibile sospensione della licenza, sia azioni squadriste, che hanno lo scopo di terrorizzare titolari e clienti. È quanto deve subire Arcangelo Milana nato a Olevano Romano che si trasferisce a Roma nel quartiere di San Lorenzo in cerca di un lavoro e che intorno al 1920 decide di aprire un’osteria al Pigneto lanciandosi, insieme alla moglie Maria, in una nuova avventura. Lei ha lasciato un lavoro sicuro, era cuoca all’ambasciata inglese di Roma, e si mette tra i fornelli dell’osteria «Sora Maria e Arcangelo». La cucina della Sora Maria è quella della tradizione popolare romana: amatriciana, quinto quarto, ma anche degli strepitosi cannelloni e le pappardelle alla bifolca (con ragù di cortile bianco aromatizzato al ginepro e agrumi). Come dolci si offrono zuppa inglese e paste frolle che la donna ha imparato a realizzare nelle cucine dell’ambasciata.

IL LOCALE è molto frequentato e questo movimento di gente è mal tollerato dai fascisti che spesso da Arcangelo, fiero antifascista, per ribaltare i tavoli e spaventare i clienti. L’uomo viene arrestato e deportato. Sora Maria rimane a gestire l’osteria da sola, con un figlio piccolo e incinta del secondo. La aiutano i fratelli, ma dopo l’ennesimo danneggiamento da parte degli squadristi decide di chiudere il locale e tornare al paese. Arcangelo riesce a fuggire, torna anche lui ad Olevano per poi unirsi a un gruppo partigiano e combattere per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. I due, finita la guerra, riaprono la loro trattoria ad Olevano: ancora oggi si possono gustare gli straordinari cannelloni con la ricetta della sora Maria. Li prepara la nipote.