È il 26 luglio 1896 quando a Zurigo scoppiano tumulti che dureranno diversi giorni: una vera e propria caccia all’uomo che ha come obiettivo gli immigrati italiani. Violenze diffuse, saccheggi, abitazioni e negozi dati alle fiamme per punire i «figli del sud». La scintilla è l’accoltellamento di un alsaziano da parte di un muratore italiano: l’ennesimo atto di violenza, diranno gli svizzeri, di un popolo incapace di integrarsi nella «civile» terra d’accoglienza.

Ma il vero motivo dietro l’esplosione di rabbia che costringerà molti italiani ad abbandonare la città è interno al mondo del lavoro: la disponibilità degli italiani ad accettare stipendi più bassi.
DI FRONTE AL TRAGICO assalto avvenuto nel quartiere operaio di Aussersihl e alla profonda distanza tra le classi popolari dei due paesi, i lavoratori più politicizzati hanno l’obiettivo di abbassare la tensione e unire il movimento operaio. Tra gli emigrati italiani molti sono militanti anarchici e socialisti riparati in territorio elvetico per sfuggire alla repressione poliziesca. Nonostante i recenti attacchi delle autorità svizzere – come la cacciata degli anarchici italiani del 1894, raccontata dal cantautore Pietro Gori in Addio Lugano bella, dopo l’omicidio del presidente della Repubblica francese Marie François Sadi Carnot a opera dell’italiano Sante Caserio – i militanti delle differenti aree politiche continuano a impegnarsi per la costruzione di un movimento internazionalista.

ZURIGO È DA TEMPO al centro del dibattito politico: nel 1893 vi si riunisce l’Internazionale anarchica e nello stesso anno si svolge il Congresso operaio e socialista internazionale dove sono presenti molti italiani tra cui anche Filippo Turati. È all’interno di questa tensione che nel settembre 1897 il gruppo dei Socialisti italiani in Svizzera, guidati da Giacinto Menotti Serrati, fonda il giornale Avvenire dei lavoratori. L’obiettivo è alimentare la coscienza di classe tra gli operai italiani e svizzeri. Punto di partenza è la risposta alle esigenze materiali di persone povere ed emarginate, come gli immigrati. Che fare?

UNA RISPOSTA la trovano alcuni socialisti, per la maggior parte romagnoli, che vivono a Zurigo: fondare una cooperativa e soprattutto aprire un ristorante! Il 18 marzo 1905 nasce la Società cooperativa di Zurigo che, recita lo statuto, vuole «promuovere la cooperazione tra socialisti di lingua italiana in Svizzera; appoggiare con sovvenzioni istituzioni di tendenza democratica socialista; appoggiare il movimento sindacale e cooperativistico e collaborare con il movimento operaio indigeno; aiutare soci e socialisti di lingua italiana colpiti da sventura o caduti nell’indigenza». Nascono così un programma d’istruzione popolare, una biblioteca operaia e il Coopi, ristorante della solidarietà e della rivoluzione.

NELLA ZURIGO di inizio secolo, attraversata da esuli, ribelli e rivoluzionari provenienti da tutta Europa, il Coopi di via Zwinglistrasse è il luogo dove gli operai trovano cibo sano a prezzi abbordabili, ma soprattutto possono discutere di politica e organizzare lotte e scioperi. Come quello del 1911 che provoca l’espulsione di 1.200 muratori, caricati su un treno speciale e rispediti in Italia. Un minestrone al Coopi, riporta un vecchio menu, costa solo 20 centesimi di franco come la minestra di trippa, 40 centesimi la trippa al sugo, 50 la carne al lesso e 1 franco il mezzo pollo.

Oltre al sostegno materiale per emigrati e operai al Coopi si organizzano conferenze e discussioni sui problemi concreti e pratici che investono gli emigrati italiani in una sorta di opera pedagogica rivolta agli operai. Una delle prime conferenze ha per oggetto la riprovevole consuetudine di «metter mano al coltello durante le furibonde risse che scoppiavano non di rado tra gli emigrati per motivi politici o per questione di donne». Una pratica aspramente criticata dagli svizzeri. La discussione appassiona così tanto i partecipanti che il relatore Domenico Armuzzi, tra i fondatori del Coopi, viene accoltellato da un connazionale mentre torna a casa. L’altro non aveva gradito la tesi secondo la quale il coltello non era raccomandabile come mezzo di persuasione.
IN QUESTI ANNI tanti esponenti del movimento operaio europeo passano dal Coopi. Angelika Balabanoff è una delle più assidue frequentatrici. Nel 1913 tra i tavolini del ristorante arriva anche Benito Mussolini, giunto a Zurigo per il comizio del primo maggio come direttore dell’Avanti. Un anno prima il ristorante si era spostato al numero 36 della Militarstrsasse, nella zona popolare chiamata Kreis Chaib, il quartiere «carogna».

Tra i più radicali frequentatori del Coopi spicca Vladimir Illic Ulianov, Lenin, che sta scrivendo L’imperialismo come fase suprema del capitalismo. Il bolscevico adora i cappelletti in brodo preparati da Erminia Cella, cuoca romagnola e straordinaria militante. Pare ne abbia mangiato un gran piatto appena prima di salire sul treno piombato diretto in Russia per dare il via alla Rivoluzione d’Ottobre. C’è chi sostiene che Lenin e Mussolini abbiano cenato insieme al Coopi ma Balabanoff, che conosce e frequenta entrambi, smentisce questa notizia nella sua biografia. La rivoluzionaria verrà arrestata ed espulsa dalla Confederazione con l’accusa di essere una spia bolscevica.

QUANDO IN ITALIA si impone il fascismo in Svizzera ripara chi è in fuga dal regime. Al Coopi si incontrano fuoriusciti, rivoluzionari e antifascisti. Ogni gruppo politico ha il suo tavolo fisso, tranne i comunisti che per prudenza evitano di averne uno tutto per loro. Passano i fratelli Carlo e Nello Rosselli, poi più tardi Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e Pietro Nenni. Il primo maggio 1924, un mese prima di essere barbaramente ucciso dai fascisti, compare anche Giacomo Matteotti. Parla con gli emigrati italiani, chiede quanto guadagnano, quanto costa un litro di latte, annota tutto con grande precisione e conclude: «Poro proletario italiano!».

Il regime non sta con le mani in mano. Forse proprio perché Mussolini conosce il Coopi, la polizia segreta fascista, l’Ovra, presta molta attenzione a ciò che succede nel locale utilizzando spie e informatori. Pare che ogni notizia sia pagata 50 franchi, una bella cifra per i tempi.
AL COOPI si organizzano le partenze in treno per i volontari che vogliono andare a combattere in Spagna. Dopo l’occupazione nazista di Parigi il «Centro estero» socialista è trasferito prima a Tolosa e poi, nel 1941, a Zurigo. È guidato da Ignazio Silone e fornisce un importante sostegno alla lotta contro il fascismo. Nel ristorante viene spostata la sede dell’Avanti, la cui direzione è affidata al muratore comasco Pietro Bianchi che avendo preso la cittadinanza svizzera può garantire per gli articoli senza pericolo di ritorsioni. Le copie dei giornali socialisti arrivano in Italia nascoste nel doppiofondo delle valigie.

LA GUERRA FINISCE e la Svizzera torna a essere terra di immigrazione per gli italiani che cercano migliori condizioni di vita. Il Coopi è ancora il punto di riferimento di chi arriva con le valigie di cartone. Il ristorante è frequentato anche da intellettuali e artisti del mondo della sinistra. È qui che attivisti, sindacalisti e militanti elvetici costruiscono la vittoriosa opposizione al referendum del 1970 voluto da James Schwarzenbach che al grido di «prima gli svizzeri» vuole rimpatriare gli immigrati. Il prossimo marzo il ristorante cooperativo «Coopi», dopo aver cambiato cinque sedi in quasi 120 anni di storia, chiuderà alla ricerca di una nuova sistemazione. Sperando la trovi al più presto.