Nell’agosto 1892 si riunisce a Genova il primo congresso del Partito dei lavoratori italiani. In città si sono appena celebrati i festeggiamenti per i 400 anni dell’impresa di Colombo. Per questo gli oltre 300 rappresentanti delle società operaie giunti da tutto il paese possono usufruire degli sconti sui biglietti del treno previsti per le celebrazioni colombiane. Un escamotage per permettere al maggior numero di delegati di raggiungere il capoluogo ligure. Molti di loro non hanno mai visto il mare.

LA SITUAZIONE nel movimento operaio è molto animata. Da una parte ci sono gli anarchici che rifiutano qualsiasi forma legalitaria di presa del potere e si oppongono alla scelta elettorale. Sono una minoranza e per combattere i socialisti vogliono escludere i non operai dal comitato, facendo fuori gli intellettuali socialisti. Tra loro compare il famoso Pietro Gori, avvocato e autore di alcune delle più famose canzoni anarchiche. Dall’altra parte ci sono i socialisti rappresentati da Filippo Turati, Anna Kuliscioff e Camillo Prampolini, che invece puntano alla creazione di un partito capace di rappresentare le istanze del popolo dentro le istituzioni.

La battaglia decisiva si gioca il 14 agosto nella famosa sala Sivori di Genova: al mattino si scontrano l’anarchico Casati, che punta a escludere gli intellettuali dalla presidenza, e Kuliscioff, che presenta una mozione opposta approvata a larga maggioranza. Il pomeriggio, appena ripresi i lavori, si consuma la rottura definitiva. L’onorevole Prampolini si rivolge agli anarchici: «Voi siete onesti quanto noi, ma noi percorriamo una via assolutamente opposta; fra noi e voi non ci può essere comunanza, dunque lasciateci in pace!». I rappresentanti operai e i socialisti non tornano più nella sala Sivori. Circola un nuovo appuntamento: «Questa sera, i delegati che intendono fondare il partito dei Lavoratori, si trovino nella trattoria di Salita Pollaiuoli, per un’intesa».

IN POLITICA i passaggi più significativi non accadono per caso. Sono preparati a tavolino. In questo caso in senso letterale. La sera precedente allo scontro congressuale, infatti, Prampolini e Kuliscioff siedono nella trattoria di salita Pollaiuoli per organizzare la rottura con gli anarchici. Mangiano un bel piatto di lasagne al pesto e carne arrosto.

Sulla tavola dei tre socialisti va in scena la prova generale di quello che accadrà il giorno successivo. Nello stesso ristorante i rappresentati di 150 associazioni operaie indicono il nuovo congresso da cui sono esclusi gli anarchici. Si svolge il 15 agosto nella sala dei Carabinieri genovesi e decreta la nascita del Partito dei lavoratori italiani, che dal 1895 diventerà il Partito socialista italiano. Ancora oggi nella piccola trattoria di Salita Pollaiuoli, che nei decenni ha cambiato vari nomi, c’è una targa che ricorda quella riunione: «La sera del 14 agosto 1892 i delegati di 150 associazioni operaie del mutuo soccorso e sociali lasciata Sala Sivori si riunirono in questa trattoria e qui decisero di indire il giorno dopo, 15 Agosto 1892, nella Sala dei Carabinieri genovesi in Via della Pace, il congresso di fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani/ Partito Socialista Italiano».Superato l’ostruzionismo e la tenace opposizione anarchica alla via legalitaria, il partito si propone di portare le istanze delle classi popolari in parlamento. Fonda sezioni socialiste in tantissime città ma non tutte le realtà locali sono in grado di proporre un proprio candidato. Come in Umbria, dove si ricorre a figure di rilievo nazionale con lo scopo di trascinare il giovane partito. Andrea Costa è candidato nei due collegi di Perugia, mentre il leader Turati si presenta a Spoleto. Gli eventi delle piccole realtà di provincia mostrano il profondo sforzo organizzativo volto alla costruzione del partito e allo scontro elettorale. Una tensione, inutile dirlo, che ha come strumento anche il buon cibo.

NE È UN ESEMPIO la lettera, praticamente inedita, che Turati invia a un dirigente socialista spoletino, il giovane avvocato Pasquale Laureti. Lo ringrazia per avergli mandato delle ottime beccacce che Turati dichiara di aver mangiato con gusto insieme alla compagna Kuliscioff. Un dono, capiamo dalle buffe parole del padre del socialismo italiano, non privo di interesse: serve a convincerlo a candidarsi.

«Carissimo, se mi avete giudicato un villan quadro, avete fatto strettamente il vostro dovere. Io ho ricevuto la selvaggina. Credo anche di averla mangiata e digerita voluttuosamente, insieme alla mia famigliuola. Se ho peccato di gola, domeneddio ci metterà in purgatorio l’uno avanti all’altro. Ma quanto a dirvi almeno un grazie, neppure per sogno! Ah! Che canaglia devo essere! E che canaglia indomita! Perché non deve essere la prima volta che mi accadono simili misfatti contro il galateo. Fate una cosa: assolvetemi, tanto, non ho più neppure la capacità del rimorso. Mi avete perdonato?… Allora mi perdonerete il giorno che verrò a pagare pedaggio al vecchio Clitunno. Perché l’avete confessato, quegli uccelli servivano di richiamo per tirarmi nella rete! Sciagurato! Siamo dunque pari: la vostra non fu che un’insidia. E io non vi dovevo riconoscenza. Ho sequestrato il corpo del reato, e basta! Scappo… dalla rete e vi stringo la mano di fuga. Vostrissimo F. Turati».

Cibo e trattorie hanno un ruolo importante anche nel periodo più buio per l’organizzazione socialista: il fascismo e l’esilio. Di grande valore è la testimonianza di Vera Modigliani, moglie dell’avvocato socialista Giuseppe Emanuele Modigliani, fratello del pittore, che nel libro di memorie Esilio descrive l’affascinante esperienza della mensa degli esuli italiani. La frequentano l’anziano Turati e poi Treves, Pertini, Nenni, Buozzi e altri membri del partito giunti a Parigi per sfuggire alla ferocia fascista. Sono proprio Vera Modigliani e Nina Coccia, moglie di un giovane dirigente del partito, a dare vita alla trattoria chiamata la Popote des proscrits italiens, in una stanza dei locali dell’Unione delle cooperative italiane di lavoro in rue de la Tour d’Auvergne 16. Un locale piccolo e rettangolare con due finestrelle che affacciano sulla corte. La sera dell’inaugurazione è presente una grande protagonista del movimento socialista europeo, Angelica Balabanoff. È il 1926.

La trattoria nasce dal senso di solitudine che gli esuli vivono nei primi tempi di permanenza a Parigi e serve a offrire un piatto caldo a pochi soldi e un po’ di calore umano agli esiliati. Con il contorno dell’immancabile discussione politica. Di grande malinconia è il primo Natale lontano dall’Italia, quello del 1926. Nenni è in disparte, solitario e silenzioso per l’assenza dei propri cari. Al punto che, racconta Modigliani, sono necessarie le fettuccine alla bolognese di Baldini e qualche «bicchierotto» di vino supplementare per riscaldare l’ambiente.

La fuga dall’Italia fascista continua e i locali della Popote sono insufficienti. Si decide quindi di spostarla nella stanza più grande dei locali della cooperativa. Ognuno ha il suo compito. C’è chi spazza la sala e chi lava l’insalata. Buozzi taglia la carne, Nina Coccia pulisce le verdure. Carmen Emiliani, la moglie di Nenni arrivata dall’Italia con le tre figlie, racconta: «Ricordo che Pietro doveva grattugiare il formaggio, ma dimostrava scarsa attitudine per questo lavoro, tanto che presto fu “destituito” e gli venne affidato il compito di spazzare il pavimento». Non sempre il lavoro intellettuale va di pari passo con quello manuale.