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Padova, un esempio per la sinistra

Il risultato del primo turno nelle elezioni amministrative a Padova ha prodotto un quadro politico peculiare. Al ballottaggio si sfideranno infatti Massimo Bitonci, leghista, sindaco uscente a guida di una […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 23 giugno 2017

Il risultato del primo turno nelle elezioni amministrative a Padova ha prodotto un quadro politico peculiare. Al ballottaggio si sfideranno infatti Massimo Bitonci, leghista, sindaco uscente a guida di una coalizione di destra, che ha raccolto il 40,2% dei voti, e Sergio Giordani, candidato del Pd e dei centristi, che si è invece fermato al 29,2%. Ma il vero protagonista della tornata elettorale e dello scenario prossimo venturo è Arturo Lorenzoni, professore di economia dell’energia all’Università di Padova, che ha raccolto il 22,8%, guidando Coalizione Civica per Padova. Questa coalizione nasce da una combinazione tra forme organizzate della politica e attivismo civico. Ne sono componenti partiti come Sinistra Italiana, Possibile e Rifondazione, la lista civica Padova 2020, gruppi di cittadini auto-organizzati e i rappresentanti di quell’ampio tessuto associativo e di volontariato – anche cattolico – che caratterizza la città. Coalizione Civica ha orientato la propria azione su due assi: il metodo partecipativo e la difesa dei beni comuni, in un’ottica di sostenibilità ambientale e socioeconomica.

Al contempo, il profilo politico di Giordani, manager di successo, ex presidente del Padova Calcio e dirigente dell’Interporto industriale, si è incentrato su due ulteriori assi: la capacità di networking fra attori del campo economico ed élite politiche locali e il superamento del frame dei conflitti sociali persistenti, che caratterizza la politica leghista.
Due dati di contesto vanno considerati. Da un lato, il calo dei partiti: il Pd ottiene a Padova appena il 13,5% (-11,6% rispetto al 2014), seguito dalla Lega Nord al 6,6% (+1,7), il Movimento 5 Stelle il 5,5% (-3,5), Forza Italia il 3,9% (-3,5), Fratelli d’Italia il 2,1% (+0,8). In tutto, le principali formazioni partitiche nazionali raccolgono in città poco più del 31% dei voti, con un arretramento complessivo di oltre 20 punti. Dall’altro, è saltato il cleavage centro\periferia e la sottostante dialettica di segregazione sociale di classe e cittadinanza. Se nel 2014 la destra padovana era riuscita a conquistare le periferie, tematizzando le questioni sicurezza e immigrazione, in questa tornata elettorale i tre candidati principali hanno registrato scostamenti relativamente contenuti nei voti in tutte e 206 le sezioni comunali. Il conflitto politico si è giocato, cioè, soprattutto sui modelli di sviluppo urbano e sociale.

L’insolita accoppiata Giordani-Lorenzoni ha deciso l’apparentamento per il secondo turno. Se per conoscere la nuova guida di Padova dovremo attendere i risultati del ballottaggio, questo dialogo a sinistra suggerisce già adesso alcune riflessioni che possono andare oltre lo specifico caso locale. Negli ultimi mesi, in molti abbiamo sottolineato con favore l’emersione di esponenti politici quali Bernie Sanders e Jeremy Corbin, capaci di rilanciare nuove speranze a sinistra e di aggregare consenso, soprattutto fra i più giovani, promovendo la partecipazione, la difesa dei beni comuni e una ricomposizione più equa dei conflitti sociali. Non si tratta cioè di negare il conflitto di classe, né di proporre un ingenuo modello di pace sociale. Si tratta piuttosto di stimolare, attraverso la partecipazione, processi di crescita orientati sia all’espansione sia al superamento delle disuguaglianze sociali e di valorizzare un enorme patrimonio immobiliare e di competenze, che sopravvive, nella latenza, al mutamento sociale in atto. Per dirla alla Piketty, infatti, migliorare la condizione dei lavoratori e rendere più fluida l’accumulazione di capitale aiuterebbe tutte le componenti sociali, capitalisti compresi, a crescere. Dove cioè la sinistra sociale e quella liberale possono confrontarsi non è tanto su una “terza via” appartenente ormai ad un’altra fase storica (precedente alla crisi del 2007), quanto piuttosto nella valorizzazione dei beni comuni, attraverso un processo virtuoso di accrescimento del capitale sociale e di innovazione produttiva.

In questa ottica, che ha una lunga tradizione teorica ed empirica, i commons sono da intendere come una sfera composta da beni materiali, simbolici e relazionali sottratti tanto alle dinamiche di mercato, quanto al controllo diretto dello Stato. Delle componenti che non sono da intendere come statiche, ma dinamiche e relazionali. Il campo delle energie rinnovabili, ad esempio, dimostra come fra sviluppo industriale e difesa dell’ambiente, come bene comune, non esista un conflitto a priori. Su un altro piano, uno dei metodi per superare il conflitto sociale fra immigrati e residenti è quello di uscire dalla contrapposizione inclusione vs. esclusione sociale e di porre il problema nei termini dell’accesso alle risorse minime di cittadinanza, che permettono agli attori sociali di agire per sé e per la comunità.
Comunque andrà il ballottaggio, noi crediamo che l’esperienza padovana potrà suggerire qualche idea innovativa per la sinistra che verrà.

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