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Troppo per chi? Effetti e contraddizioni dell’overtourism

Turisti a Roma (Ansa)Turisti a Roma – Ansa

Commenti L’esperienza turistica è in buona parte un “bene posizionale”, il cui valore varia in funzione della quantità di persone che ne usufruiscono. Ma il turismo che diventa privilegio di classe porta a dinamiche negative, perché è stato elemento costitutivo della democratizzazione dei consumi e della società di massa

Pubblicato 19 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

Il turismo contiene, amplificate, gran parte delle tensioni e contraddizioni del capitalismo moderno. Estrattivismo, mercificazione della tradizione, conflitto tra centri e periferie, dialettica tra localismo e cosmopolitismo, globalizzazione, consumi vistosi, concentrazione proprietaria. Da questo punto di vista, l’overtourism non è che l’esasperazione di tali tratti, come testimoniato anche dalle ultime cronache estive caratterizzate da proteste di piazza, residenti che si ribellano, beni essenziali che scarseggiano e sono sottoposti a razionamento, aumento generalizzato dei prezzi.

Assurto a simbolo dei mali di una delle tante industrie globali e di massa, l’overtourism ha certamente molti effetti negativi. Mette a repentaglio la capacità di gestione dei luoghi, genera impatti importanti sull’ambiente, abbassa la qualità della vita dei residenti, erode la godibilità dell’esperienza stessa del turista. Giusta questa definizione, la soluzione sembrerebbe semplice: ridurre, limitare, selezionare. Cosa c’è di più bello di stare seduti, da soli, di fronte alla Fontana di Trevi? Quanta parte del suo valore “esperienziale” perde un sentiero troppo frequentato? Tutti sogniamo di nuotare in compagnia pressoché esclusiva delle tartarughe nell’azzurro mare greco o di stare a centinaia di metri da altri turisti, mentre seduti sulla spiaggia guardiamo il sole scomparire all’orizzonte. L’esperienza turistica è in buona parte un “bene posizionale”, il cui valore varia in funzione della quantità di persone che ne usufruiscono. Il valore dell’esperienza turistica diminuisce man mano che il bene diventa più accessibile, come ci ricorda la Fontana di Trevi nei mesi estivi, o una passeggiata in fila indiana lungo la via dell’amore alle Cinque Terre.

Riservare il turismo a pochi, però, provoca altri effetti negativi. Il turismo è un elemento costitutivo della democratizzazione dei consumi e della società di massa. Si può certamente sostenere a piacere l’insostenibilità di questo modello, ma se l’overtourism è un problema, tornare al viaggio come privilegio di classe e per pochi non è la soluzione.

Del resto, se si analizzano più a fondo i meccanismi e le forme tipiche dell’overtourism, si può scorgere una possibile via d’uscita. Sappiamo che i danni dell’overtourism “esplodono” superato il punto di svolta in cui i benefici generati dai visitatori sono inferiori ai danni causati dal deterioramento dei siti storici, dal sovraccarico delle infrastrutture, dal peggioramento della qualità della vita di chi, nei luoghi, abita e vive tutti i giorni dell’anno e non solo in estate o durante altri periodi di vacanza più o meno lunghi. Accade molto spesso, anzi si tratta in qualche modo della regola, che i mezzi per contrastare il superamento di questo “punto di svolta” non sono nel controllo delle comunità locali. Ciò può accadere per diverse ragioni, oggettive o soggettive.

In alcuni casi, semplicemente, perché le comunità locali e i “residenti” sono troppo pochi o troppo deboli e frammentati, come nelle località turistiche di prestigio dove i salari dei lavoratori non sono sufficienti a vivere in quei luoghi o i lavoratori sono deboli e ricattabili. Si pensi a Portofino o a Cortina d’Ampezzo. In altri casi, perché i benefici monetari individuali generati dal turismo sono così elevati per i residenti che qualsiasi altro costo collettivo passa in secondo piano. Se posso ricavare dall’affitto di un alloggio 50.000 euro l’anno, come a Venezia, perché dovrei preoccuparmi dei danni dell’overtourism? Oppure, come nei centri storici delle città d’arte, il “punto di svolta” non costituisce un problema perché gli unici ad avere una voce in capitolo sono quelle realtà economiche che dipendono completamente dal turismo o che hanno rendite di posizione e, pur in presenza di benefici contenuti, si scontrano con l’assenza di alternative migliori o giudicate tali.

Quando invece il controllo della comunità locale è robusto, quando è possibile per chi vive e lavora nei luoghi decidere in modo libero se e come trarre valore dal turismo, quando il turismo non è l’unica attività economica possibile, quando la rendita è contenuta, allora il punto di svolta dove i costi collettivi superano i benefici individuali può essere più facilmente tenuto sotto controllo. Sono, questi, i casi dove i luoghi sono prima di tutto pensati e attrezzati per i residenti, dove l’abitabilità quotidiana è la stella polare dello sviluppo locale e le infrastrutture turistiche non si limitano a estrarre valore da un lavoro povero, ma sono parte specifica di un modello più ampio e articolato di interazione tra economia, società e territorio. Soprattutto, sono luoghi dove il turismo è solo un vagone del treno e non la locomotiva a cui il territorio si è affidato, per scelte miopi, logiche estrattive, rendite di posizione o assenza di alternative.

@FilBarbera

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