Ottessa Moshfegh, sodalizio a Salem, in interni di bordelli e locande marinaie
Scrittrici statunitensi Brillante e grottesca, la novella d’esordio di Ottessa Moshfegh sperimentava già una prosa icastica e umoristica che si distenderà nei romanzi successivi: «McGlue», del 2014, ora da Feltrinelli
Scrittrici statunitensi Brillante e grottesca, la novella d’esordio di Ottessa Moshfegh sperimentava già una prosa icastica e umoristica che si distenderà nei romanzi successivi: «McGlue», del 2014, ora da Feltrinelli
Tassello di un affresco narrativo abitato da figure eccentriche, in fuga da mondi retti da regole insensate o violente, che sprofondano in atteggiamenti nichilistici dove anche la loro resistenza fisica viene messa alla prova, la straordinaria novella di esordio di Ottessa Moshfegh, McGlue (traduzione di Gioia Guerzoni, Feltrinelli, pp. 134, € 15,00) era uscita nel 2014 negli Stati Uniti e ora arriva a noi grazie al successo dei tre romanzi già pubblicati. Invasi da un umorismo scatologico, i personaggi di Moshfegh subiscono a volte perdite di familiari, strappati loro da morti violente, e risultano affascinati da ciò che è sporco, brutto, in una parola: repellente. Si direbbe in risposta al loro disagio e alla loro avversione contro l’ordine delle cose.
Insieme al sicuro controllo della voce affidato a uno stile asciutto, questi temi erano già presenti in McGlue, nucleo romanzesco da cui sarebbero scaturiti i titoli successivi, quasi fossero – come spesso capita in tanti scrittori – variazioni dello stesso libro. Eileen, protagonista del romanzo omonimo datato 2015, ad esempio, fugge da un ambiente claustrofobico, negli anni Sessanta, per ricominciare da capo con altri connotati; e così pure la giovane e ricca newyorchese in Il mio anno di riposo e oblio che allo scopo di rigenerarsi tenta la via dell’ibernazione.
Qui, il ventenne McGlue, vorrebbe cancellare dalla sua frantumata memoria di alcolista cronico un passato persecutorio e di nuovo minacciosamente a galla negli intervalli fra la percezione del suo presente di prigioniero in attesa di giudizio e il recente passato al fianco dell’unico amico e forse amante, Johnson, che pare abbia ucciso a coltellate.
Risvegliatosi ubriaco su una nave, a Zanzibar, la notte dopo, si guarda e si dice: «Ho il davanti della camicia rigido, marrone. Forse è sangue secco e io sono morto». Non sa cosa sia successo, non ricorda il suo nome («McGlue, mi suona familiare») vuole solo bere, mentre il fantasma di Johnson appare e scompare dalla sua mente. Ha la testa «spaccata» per essere saltato giù da un treno in corsa, e in quel buco nel cranio che non si richiude, sbattendo ripetutamente contro il muro della cella, McGlue cerca di estrarre il marcio dal cervello e gettarlo in mare.
La sua sofferenza è grottescamente esplicitata, forse è un assassino, di certo un ubriacone violento; ma ancora prima è l’orfano di un padre e di un ancora più amato fratello, morto nel crollo della loro casupola a Salem, mentre la sorella veniva sfruttata in un cotonificio. «Vai a scuola piccolo», gli diceva la madre, e lui ci andava, «sporco e a stomaco vuoto e con le scarpe sbagliate e con nessuno ad accompagnarmi».
Johnson lo recupera, sbronzo e quasi congelato, nella notte inclemente in cui era fuggito da Salem con l’intenzione di non tornarci più: ha inizio così il loro sodalizio, fra bordelli e luride locande, dal New England alle città esotiche dove si ferma la nave che li ha ingaggiati come marinai. Anche lui originario di Salem, benché provvisto di una buona famiglia alle spalle, che gli ha assicurato educazione, soldi, bei vestiti, Johnson riconosce in McGlue il suo doppio: li unisce una cronica infelicità, la fuga senza una meta dal passato, una confusa identità sessuale e il comune, profondo desiderio di morte, che tentano di domare a suon di bevute e bravate: «Fottitene del mondo», questa la loro filosofia.
Come nei libri successivi di Moshfegh, i due giovani formano dunque la coppia intorno a cui ruota la trama: via via che riaffiorano i ricordi, McGlue ricompone il profilo dell’amico, e questi si gonfia in tutta la sua grandezza, capace com’era di calmargli i nervi, che come serpenti «strisciano e guizzano nel vapore entrato dalla crepa che in testa». Privato degli alcolici nella cella di Salem, McGlue rischiara la sua mente e al tempo stesso rende più piana la sua prosa, strutturandola in frasi più lunghe, mentre il passato si rianima per il gran finale con cui Moshfegh chiude il cerchio e risolve ogni enigma.
Strategica la figura dell’avvocato difensore, un comico ometto alla Charles Dickens, che esigendo dal suo assistito la confessione scritta dei fatti accaduti quella notte, gli mette in mano fogli, penna e inchiostro, perché quello butti giù una bella storia, capace di tirare dalla loro parte la gente di Salem, il paese delle streghe dove la condanna è quasi certa.
«Sono nato», scrive McGlue, tanto per cominciare. Seguono pagine e pagine di ricordi che l’avvocato passa a ritirare ogni settimana, frammenti di vita dell’improvvisato scrittore, che qua e là si abbandona a intervalli lirici della tragica storia di miseria da cui è fuggito, cui si unisce il dolore per la perdita di Johnson. Consegnando all’avvocato anche il ruolo di messaggero di bizzarri commenti sull’attualità, Moshfegh ricrea accuratamente il panorama dell’anno 1851, in un porto del Massachussets, dove stanno caricando una macchina che produce scarpe per l’Esposizione Universale di Londra.
Altre navi cargo scaricano mercanzie dell’epoca, la corsa all’oro è iniziata, viene proclamato lo stato indipendente degli «Adoratori di Dio», molti schiavi sono stati liberati e la guerra civile è nell’aria. Anche i rimandi letterari non mancano: l’anno di ambientazione del romanzo è lo stesso della pubblicazione di Moby Dick, e il doganiere Hathorne che i due giovani vedono a Salem altri non è che Nathaniel Hawthorne, supervisore della dogana di quella città, lavoro cui affiancava la scrittura della Lettera scarlatta. Della sua famiglia faceva parte un giudice dei molti impegnati, in quella città di Salem, nella famosa caccia alle streghe, cui McGlue deve sfuggire compilando il suo racconto accattivante.
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