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Ossessione porno anni ottanta, il sogno infranto di Riccardo Schicchi

Ossessione porno anni ottanta, il sogno infranto di Riccardo SchicchiUna scena da «Diva futura» di Giulia Louise Steigerwalt

Venezia 81 In concorso «Diva futura» di Giulia Louise Steigerwalt, la saga della factory che rivoluzionò il cinema per adulti in Italia

Pubblicato circa un mese faEdizione del 5 settembre 2024

La sensazione è che questo Diva Futura, presentato ieri in concorso, non sappia bene dove andare. E, nel raccontare la saga della nostra factory porno di ispirazione pannelliana e estetica felliniana che rivoluzionò il cinema per adulti in Italia conquistando spazio nello spettacolo e persino nella politica, la regista Giulia Louise Steigerwalt non riesca a liberarsi dalla trappola più superficiale e da gioco social, quella di valutare a ogni inquadratura la somiglianza delle sue giovani attrici Denise Capezza, Lijdia Kordic, Tesa Litvan con le dee Moana e Ilona rispettivamente, e con Eva Henger che del regista-manager Schicchi fu anche moglie e gli fu vicina fino alla morte prematura.
Riccardo Schicchi, personaggio centrale di quegli anni, visionario e cialtrone come i grandi rivoluzionari, è Pietro Castellitto. L’attore è volenteroso nel copiare inflessioni e gesti, ma resta lontano dall’essenza infantile e diabolica. Troppo maschio, la fluidità di Schicchi era in anticipo sui tempi, era efebica e settecentesca. Castellitto è il terzo Schicchi al cinema: il primo fu Fausto Paravidino nella serie Moana, poi Vincenzo Nemolato in Supersex su Rocco Siffredi (prodotto da Matteo Rovere che firma anche questo Diva Futura). È una figura sfuggente, già sfumata nella memoria, nonostante fosse ospite di programmi e salotti tv se la cronaca dei processi gli dava qualche tregua. È morto dieci anni fa.

Figlio degli anni ‘60 e della prima ondata libertaria, Schicchi vedeva il porno come leva per liberare la società. Negli anni 70 usa tutti i mezzi a disposizione, il cinema, la radio, la tv, le riviste.

NE RIPERCORRIAMO la gesta seguendo il filo del diario di Debora Attanasio (Barbara Ronchi), sua segretaria nel palazzo di via Cassia a Roma che era la base delle attività. Debora è la ragazza normalissima nel via vai di fate e desideri proibiti, che timbra il cartellino ogni giorno. La sua presenza abbassa la temperatura, aggiunge un elemento di commedia, un’aria di famiglia, ci ricorda che il mestiere della pornostar è un mestiere spesso infame: Moana provò per tutta la sua breve vita a uscirne fuori senza riuscirci; Eva Henger rimase inchiodata per anni e anni alle stesse 4 scene girate in Ungheria continuamente tagliate e rimontate fuori controllo.
Proprio nella scena di un confronto tra Riccardo Schicchi, il suo collaboratore Massimo Caroletti (Davide Iachini) e Eva Henger, viene fuori una pista interessante. Schicchi difende il suo cinema tradizionale e felliniano come il cinema vero, regno del sogno e della bellezza, com’era stato l’esordio di Fantastica Moana, visionaria ossessione erotica, o il clamoroso Moana e Cicciolina ai mondiali (clamorosa l’idea, almeno). Contro l’arrivo sul mercato dei generi amateur e violenti che – si arrabbia Schicchi – si rivolgono alla parte oscura degli spettatori, stimolano i loro desideri segreti e peggiori. Il che, con qualche aggiustamento, si riproporrà nella pornografia on line e nelle sue mille specialità, ma in genere in tutto il nostro mondo ai tempi dei social.

IL CHE, dal punto di visto della sceneggiatura, è uno «spiegone». Ma ce n’è bisogno. Figlio degli anni ‘60 e della prima ondata libertaria, Schicchi vedeva il porno come leva per liberare la società. Negli anni 70 usa tutti i mezzi a disposizione, il cinema, la radio, la tv, le riviste. I suoi spettacoli di spogliarello nei club che aveva aperto a Roma (Cicciolina e il pitone!) non potrebbero esistere senza le performance e il Living Theatre. Aiuta Cicciolina a farsi eleggere in parlamento, non avrà la stessa fortuna con Moana sindaca di Roma. Si perderà nello stesso pentolone che ha scoperchiato: il mercato, il sesso, il ricatto. la violenza, la difficoltà di un mondo che non è sottoposto a regole perché è completamente vietato, quindi non ha neppure limiti.
La scena più significativa del film è una delle più drammatiche. Moana, malata, che sa di aver poco da vivere ancora, chiede a Riccardo Schicchi di aiutarla a girare il suo ultimo film usando una controfigura (il film sarà perduto e ritrovato in un cinema di Brescia, pubblicato solo nel 2014). Nella stanza accanto, siamo all’inizio del 1994, va in onda il discorso della discesa in campo di Berlusconi. La regia mantiene l’audio percepibile in sottofondo. L’idea del sogno, condivisa da Schicchi e dai grandi varietà Fininvest (ma Moana nuda fu censurata nel varietà Araba Fenice su Italia 1), era così traghettata negli anni 2000 e nell’incubo patriarcale che ci attendeva.

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