La transizione energetica non può avvenire senza il rispetto dei diritti delle comunità autoctone. E le 151 turbine eoliche costruite per il Fosen Vind (il più grande parco eolico della Norvegia e il più grande progetto di energia eolica onshore in Europa), di proprietà delle compagnie energetiche norvegesi Statkraft e TrønderEnergi, della tedesca Stadtwerke Muenchen e della danese Nordic Wind Power DA, stanno ostacolando la sopravvivenza dei Sámi, il popolo più antico del Nord Europa.

CHIAMATI ERRONEAMENTE LAPPONI, i Sámi vivono nella regione Sápmi, che comprende la penisola di Kola, in Russia, e le regioni settentrionali di Norvegia, Svezia, Finlandia. Rifiutano di considerarsi minoranza, perché la loro cultura non riconosce l’autorità statale. Si oppongono inoltre alla civilizzazione e all’assimilazione culturale. Aspetti culturali che hanno inciso sullo sviluppo della loro storia segnata da terribili vicende di razzismo: basterebbe ricordare che furono le principali vittime delle ricerche eugenetiche condotte dalla Svezia nel 1922. E da sempre il popolo nomade dei Sámi vive in simbiosi con la natura e con le renne, indispensabili per procurarsi la carne e il latte, pelli per il vestiario e per dormire.

QUESTI TRATTI ANTROPOLOGICI POSSONO aiutarci a comprendere anche le motivazioni delle proteste degli attivisti di Natur og Ungdom (Natura e Gioventù), che il 27 febbraio a Oslo hanno bloccato gli ingressi del Ministero delle Finanze e del Ministero dell’Ambiente. Il primo marzo la polizia è intervenuta e ha arrestato e poi rilasciato alcuni manifestanti, tra cui Greta Thunberg.

«I DIRITTI DEGLI INDIGENI E I DIRITTI UMANI devono andare di pari passo con le azioni per la protezione del clima. Ciò non può accadere a spese di alcune persone. Allora non è giustizia climatica», ha dichiarato la fondatrice del movimento Fridays for Future all’agenzia Reuters. Parole che non si allontanano da quelle della Corte Suprema norvegese dell’ottobre 2021. Nella sentenza si riconosce che i due parchi eolici di Fosen, nel distretto del Trøndelag, violano i diritti dei Sámi ai sensi delle convenzioni internazionali. Come spiega Norgga Sámiid Riikasearvi (l’associazione dei Sámi norvegesi), il governo di coalizione non rispetta l’articolo 27 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) che recita: «Negli Stati in cui esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, alle persone appartenenti a tali minoranze non deve essere negato il diritto, in comune con gli altri membri del loro gruppo, di godere della propria cultura, esercitare la propria religione o usare la propria lingua».

MA LE TURBINE SONO IN FUNZIONE da oltre 16 mesi. E continuano a rendere difficile la convivenza tra i Sámi e gli animali, spaventati dai macchinari alti 87 metri e con rotatori di 117 metri di diametro. La questione ha avuto un notevole impatto sul governo norvegese, accusato di colonialismo verde, tanto da impedire la visita ufficiale di Terje Aasland, ministro del Petrolio e dell’Energia, in Gran Bretagna. Lo stesso ministro che lo scorso gennaio ha annunciato di avviare nuove esplorazioni di petrolio e gas nell’Artico (92 di cui 78 nel Mare di Barents) e che sugli impianti eolici ha dichiarato: «Anche se la Corte Suprema ha valutato che l’autorizzazione concessa non è valida, non ha preso posizione su ciò che dovrebbe accadere con essi». Mettendo a dura prova il Partito Laburista norvegese, vincitore delle elezioni del 2021 grazie anche a una campagna elettorale incentrata sui temi del cambiamento climatico, della gestione delle risorse petrolifere e delle crescenti diseguaglianze sociali.

SPETTA ORA AL LEADER DEL PARTITO e primo ministro Jonas Gahr Støre il difficile compito redimere il conflitto tra il governo e la popolazione indigena che chiede l’abbattimento del parco eolico. Quello dei Sami è un chiaro esempio di resistenza e difesa del territorio, simile a quella di Lützerath, in Germania. Lì le proteste sono scoppiate da quando la multinazionale RWE Power ha deciso di trasformare l’area in una miniera di lignite. E in seguito alle dichiarazioni del Ministro dell’Economia Robert Habeck, leader dei Grünen, che non si è opposto allo sgombero di Lutzi e al piano energetico a favore delle fonti fossili.

MA NELLA REGIONE DI SAPMI c’è anche una lotta per l’autodeterminazione affine a quella condotta dagli Yanomami in Brasile, decimati da carestie e malattie, torturati dai garimpeiros con la complicità di Jair Bolsonaro. Possiamo riconoscere, infatti, che anche nel Nord Europa c’è una distanza tra i rappresentanti politici e le «minoranze», nonostante la Convenzione n. 169 dell’Organizzazione internazionale per il lavoro (Ilo) sui diritti dei popoli indigeni e tribali, ratificata dalla Norvegia nel 1990. Dall’altra parte, però, il caso dei Sámi pone degli interrogativi sul futuro energetico di un Paese che è tra i maggiori produttori di gas e di greggio al mondo, ma che ha al contempo una rete elettrica rinnovabile alimentata per il 95%da energia idroelettrica. Ed ha investito con il Pacchetto di conversione verde, lanciato nel 2021, 1 miliardo di corone norvegesi (vale a dire 992,6 milioni di euro) per favorire la crescita verde.

BISOGNEREBBE CAPIRE se la Norvegia è in grado di rinunciare agli impianti eolici onshore. Dai dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) e della Norwegian Wind Energy Association (NORWEA) è emerso che la Norvegia occupava nel 2020, con 1.532 MW, il quarto posto nella classifica dei Paesi che hanno installato più energia eolica onshore, dopo la Cina (48.940 MW), gli Usa (16.913 MW) e il Brasile (2.297 MW). Però se il Paese scandivano ha l’ambizione di diventare Fit for 55 entro il 2030 e «carbon neutral» nel 2050, allora secondo le agenzie energetiche serve un’enorme espansione nell’uso dell’elettricità e della produzione di rinnovabili. Costruendo altri parchi eolici su terra ferma e offshore.