Sulla piazza Vauban, nella rive gauche parigina a due passi dal parlamento, degli studenti giocano a carte seduti in cerchio attorno a un tablet sintonizzato sulla diretta dell’Assemblée Nationale. In attesa del voto di fiducia sulla riforma delle pensioni, i giovani si scambiano biscotti e sigarette, mentre Aurore Bergé, la presidente del partito di Macron alla Camera, fustiga i detrattori del governo pontificando sulla «questione del lavoro». I ragazzi s’interrompono, unendosi all’unanime «buu» della piazza.

La giornata clou – almeno a livello istituzionale – è iniziata con la moltiplicazione dei blocchi nel paese, in attesa del voto. A Parigi gli spazzini hanno continuato lo stop a inceneritori e depositi, i ferrovieri hanno occupato i binari attorno a Versailles. Mentre le raffinerie chiudevano una dopo l’altra a Lione, Bordeaux, Rennes, Marsiglia, i sindacati bloccavano autostrade, aeroporti e centri logistici.

Il fermento generato dall’attesa del voto aveva contagiato anche le università, dove per la prima volta dall’inizio del movimento si sono svolte assemblee oceaniche. Alla Sorbona come in altre città francesi migliaia di studenti hanno realizzato occupazioni e cortei spontanei, malgrado i tentativi delle rispettive direzioni di arginare il caos. A Tolbiac (uno dei campus della Sorbona) la polizia ha addirittura circondato l’edificio per diverse ore, senza incidenti.

Una tale agitazione non poteva che generare altrettanta delusione all’annuncio del risultato del voto di sfiducia, fallito per nove miseri voti. «Nove voti! Incredibile», esclama Ludovic, studente di ingegneria di 20 anni, cresciuto nelle banlieue popolari nel sud-ovest della capitale. «Che delusione», dice ammettendo di aver creduto alla possibilità di far arretrare Macron tramite il voto parlamentare. E ora? «Ora non ci resta che spaccare tutto, Macron non ci ha lasciato alternativa».

Farid, ferroviere 41enne e delegato sindacale di Sud-Rail sulla linea interurbana parigina, non si era fatto grandi illusioni. «Siamo in sciopero dal 7 marzo, lo sapevamo che le chances erano poche – dice – ora dobbiamo amplificare il movimento, batterci per i salari oltre alle pensioni, fare in modo che a pagare per una volta siano i ricchi e non noi, perché questi sono i temi che la gente sta sollevando sui picchetti».

Attorno al camion di Sud-Rail, in centro alla piazza, gli sguardi sono tutti diretti verso i telefoni o i tablet. «È chiaro che se la mozione fosse passata ci avrebbe reso la vita più facile – dice Farid – ma non è che svanivano i problemi. Oggi non riusciamo più ad arrivare a fine mese, sfiducia o meno».

«Mozione o no, restiamo qua!», scandisce dal megafono Lucile, ricercatrice al ministero dell’economia di 28 anni. «Questo governo non ci permette di operare una scelta – dice – La mozione di sfiducia era l’ultimo tentativo possibile. Dopo le manifestazioni e la repressione che abbiamo subito nei giorni scorsi, non ci resta che la piazza». Dopo una breve pausa, inneggia al corteo selvaggio e al blocco, dando fondo ai polmoni.

Intanto, nelle città francesi si riempiono le piazze. A Nizza, Toulouse, Nantes, decine di migliaia di persone battono i pavé in reazione agli eventi del parlamento, sfidando i divieti delle prefetture e la paura generata dalle centinaia di arresti di questi giorni. La rabbia cresce, così come l’attesa per l’ennesima giornata di sciopero generale giovedì, banco di prova scelto dall’intersindacale.
Il corteo della piazza Vauban, intanto, vaga da un lato all’altro dello spiazzo. Incerto. Tutte le vie d’uscita sono chiuse dai poliziotti, che ogni tanto lanciano dei lacrimogeni. «Anche noi passeremo con la forza!», gridano i manifestanti, in riferimento all’utilizzo della fiducia da parte della presidenza Macron.