Ammanettato, no. La scena di un ex presidente con gli schiavettoni esibiti, no, quest’umiliazione gli sarà probabilmente risparmiata. Ma dovrà lasciare le sue impronte digitali. E dovrà farsi fotografare, di fronte e di profilo, com’è prassi per un criminale.

Che si consegna alle autorità. Tutto questo sotto gli occhi degli agenti della sua scorta. Andrà veramente così martedì prossimo? O deciderà per un’altra sceneggiata, l’imputato Donald John Trump, rifiutandosi d’incontrare il giudice Alvin Bragg e trincerandosi a Mar-a-Lago, nella “Casa Bianca” del suo operoso esilio floridiano? Su quel che accadrà il 4 aprile, il giorno in cui Trump dovrebbe consegnarsi al tribunale di Manhattan per l’incriminazione nel caso Stormy Daniels, è un gran ribollire mediatico d’ipotesi e scenari, dal New York Times ai social.

TANTO PIÙ CHE LA NOTIZIA del passo deciso dal gran giurì di Manhattan – per il pagamento di 130.000 dollari alla pornostar Stormy Daniels per farla tacere sulla loro relazione – ha colto di sorpresa i media e lo stesso Trump, convinto che l’incriminazione non gli piombasse addosso in questi giorni ma più in là, anzi ormai era quasi dell’idea che «le canaglie e i mostri radicali di sinistra» del foro newyorkese stessero rinunciando alla loro «caccia alle streghe».

Trump si compiace di mostrarsi come il maschio alfa della sgangherata compagnia dei papaveri repubblicani che di tanto in tanto fanno credere di volerlo sfidare, per poi assecondarlo e sostenerlo. Sta avvenendo anche questa volta. Trump gioca anche a fare la vittima, il perseguitato, una parte che gli riesce bene, tanto che i suoi sostenitori gli vanno dietro nei suoi deliri persecutori e sembrano pronti a tutto per lui, come si è visto anche sabato scorso nel comizio di Waco di fronte alla folla di quello che è un partito nel partito, il Maga (Make America Grate Again). Questo combinato di ipermachismo e di esibito vittimismo non ne fanno però un personaggio pronto al gesto eroico, come quello di finire davvero sulla graticola dei giudici. La vigliaccheria è in realtà il tratto saliente di un personaggio che usa il ricatto nel suo ininterrotto gioco di dominio e di controllo e manda i suoi allo sbaraglio, come accade il 6 gennaio 2021 al Campidoglio: ora, nel momento in cui la giustizia lo sta acchiappando davvero – al caso giudiziario di New York, s’aggiungono altri casi d’incriminazione, in Georgia e uno federale a Washington – Trump capisce che il gioco si fa molto duro anche per lui, per la sua persona.

LO SCUDO DEGLI AVVOCATI non basta. Si vedrà, senza protezione, che ne sarà della sua protervia, peraltro sapendo benissimo che la solidarietà dei suoi rivali repubblicani, DeSantis innanzitutto, è pronta a liquefarsi un secondo dopo una sua eventuale debacle di fronte ai giudici.Il calcolo che si fa nel giro dei suoi strateghi va nel senso opposto. Considerano questi accadimenti un toccasana politico per Trump. Non solo – sostengono – la vicenda giudiziaria obbliga tutti i suoi rivali ad appoggiarlo, tanto da far pensare che ormai le primarie repubblicane siano pleonastiche. Aggiungono che, se giocata abilmente, l’incriminazione può indurre l’elettorato indipendente di destra ad abbracciare senz’altro la causa di una vittima della macchina del potere democratico, alimentata da Soros – dice DeSantis – e sostenuta dai «razzisti afroamericani», dice Trump.

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IN REALTÀ PROPRIO osservando questo bacino elettorale, si può arrivare a una conclusione diversa. Un’estremizzazione della polarizzazione, come quella spinta da Trump e dal Maga, può spaventare l’elettorato più moderato. Secondo una recente indagine del sondaggista Whit Ayres l’elettorato repubblicano è composto di tre aree, con un dieci per cento che non sostiene Trump, un terzo che lo sostiene con lealtà e devozione, e un 52 per cento che ha sostenuto Trump ma vorrebbe un’alternativa a lui, considerandolo appesantito dai suoi trascorsi e dai suoi guai giudiziari.

Nelle contee più cruciali degli stati in bilico, l’elettorato indipendente è decisivo, e lo fu per la sconfitta di Trump nel 2020 e in quella dei suoi candidati nelle elezioni di medio termine del 2022.
Non tanto paradossalmente, gli strateghi democratici considerano il terreno della polarizzazione come il più favorevole a Biden. Perché, se mobilita il Movement di Trump, scuote l’elettorato democratico riluttante nei confronti di una ricandidatura di Biden. E, rispetto all’elettorato indipendente di destra, può avere appunto l’effetto di allontanarlo dal sovversivismo di Trump.

LE ANALISI SULLE conseguenze politiche ed elettorali della decisione del tribunale newyorkese non possono lasciare in secondo piano il campo di gioco della partita più importante che è quella della tenuta stessa del sistema. Trump e il suo movimento hanno via via teso a delegittimare le istituzioni americane, consapevolmente e anche con un certo successo. Le misure giudiziarie nei suoi confronti, se non avranno nell’elettorato le ricadute favorevoli previste dai suoi strateghi, potrebbero riaprire la strada a forme violente di attacco alle istituzioni, come è già avvenuto Washington e in altre capitali statali in reazione alla sconfitta del novembre 2020. Quel potere ancora lo detiene, Trump, e potrebbe di nuovo farvi ricorso.