«Il governo di Kabul è un fantoccio degli americani!». Così ha recitato a lungo la propaganda dei Talebani, quando facevano la lotta armata contro il governo della Repubblica islamica collassata nell’agosto 2021 e sostenuta dalle forze della Nato, in particolare degli americani. Ora che sono al governo, a essere criticati come fantocci di potenze esterne sono proprio loro, gli eredi di mullah Omar. Accusati dalla «provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico a cui molti attribuiscono l’attentato alla Crocus City Hall di Mosca, di essere troppo concilianti con Mosca, Pechino, Teheran, gli attori regionali che, nell’ottica del jihadismo globale, minacciano il grande sogno della restaurazione del Califfato.

L’ULTIMA OCCASIONE per rinfocolare un duello retorico fatto di colpi di propaganda su siti, giornali, radio, social affiliati, ufficiali, semi-ufficiali, è proprio l’attentato di Mosca, che è stato sì rivendicato dallo Stato islamico, ma, contrariamente a quanto i media continuano a dire, non dalla “provincia del Khorasan”, su cui ricadono plausibilmente i sospetti, ma che finora non viene indicata come responsabile nei messaggi del gruppo. Il solo fatto che si parli tanto di provincia del Khorasan e di Afghanistan, sul cui territorio nel gennaio 2015 è stata formalmente annunciata la nascita della branca, impensierisce i Talebani, che non gradiscono una pubblicità che contraddice lo sforzo compiuto contro lo Stato islamico.

Così, Abdul Qahar Balkhi, portavoce del ministero degli Esteri dell’Emirato, è stato pronto nel condannare l’attentato di Mosca, sostenendo che Daesh, l’acronimo con cui i Talebani preferiscono chiamare lo Stato islamico, è «un gruppo nelle mani delle agenzie di intelligence» che mira a diffamare l’Islam e a creare instabilità. Chiedendo poi «una posizione coordinata, chiara e risoluta contro questi incidenti diretti alla destabilizzazione regionale». Balkhi non lo dice esplicitamente, ma per i Talebani dietro la provincia del Khorasan ci sarebbero due governi, quello di Islamabad e quello di Dushanbe. Il Pakistan e il Tajikistan, non a caso, sono i due Paesi che, per ragioni diverse, più difficoltà hanno trovato nel trattare con le nuove autorità afghane, da quando sono al potere.

I Talebani hanno cambiato un po’ prospettiva: fino a quando facevano la guerriglia, sostenevano che dietro lo Stato islamico in Afghanistan ci fossero gli americani e il governo di Kabul, in particolare il vice presidente ed ex capo dell’intelligence Amrullah Saleh, ora all’estero. A parte alcuni brevi momenti, l’antagonismo con lo Stato islamico è sempre stato molto forte. Ma è cresciuto da quando i Talebani hanno conquistato Kabul.
Chi, come il ricercatore Antonio Giustozzi, ne ha studiato le scelte, ha evidenziato come i Talebani abbiano adottato tattiche diverse per ridimensionare la minaccia del “Khorasan”: la guerra aperta, lo smantellamento delle cellule urbane, la pressione sui facilitatori per interrompere i flussi finanziari, i meccanismi di riconciliazione con i militanti di alcune aree orientali del Paese e, poi, il ricorso all’intelligence e alla «repressione chirurgica». Metodi diversi, ed efficaci.

SECONDO I DATI RACCOLTI dall’organizzazione non governativa Acled, Armed Conflict Location and Event Data Project, e rielaborati dall’International Crisis Group, la repressione dei Talebani avrebbe portato a pesanti perdite di personale e territorio per il Khorasan, e a una riduzione di più del 90% delle attività militari in Afghanistan. Da qui, una conseguenza, che ci riporta a Mosca. Perché la repressione dei Talebani, a cui tutte le capitali regionali, con maggiore o minore enfasi, chiedono di contenere la spinta centrifuga dei jihadisti che hanno volontà di colpire i loro interessi, dentro il Paese e fuori, ha prodotto un risultato paradossale. Spingendo ancora di più la provincia del Khorasan a orientare risorse e piani verso l’esterno, incentivando dunque l’espansione e la proiezione esterna del gruppo. Per il quale i Talebani sono dei traditori del vero jihad. A causa dell’accordo di Doha, firmato nella capitale del Qatar nel febbraio 2020 con gli americani. E a causa dei cordiali rapporti diplomatici intrattenuti con le capitali regionali.

Così, subito dopo la dichiarazione del portavoce del ministero degli Affari esteri di Kabul, è arrivata la replica della “provincia del Khorasan”: «Le milizie talebane ormai fanno parte della nazione infedele. È quindi naturale che simpatizzino con loro e condividano le loro pene».