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Operazione Mar Rosso

Operazione Mar RossoLa nave-cisterna Safer avvicinata dai mezzi dell’Onu – Ap/Osamah Abdulrahman

Yemen Una nave yemenita fantasma, 1,14 milioni di barili di greggio e una missione da 120 milioni di dollari: l’Onu svuota la Safer, abbandonata dallo scoppio della guerra nel 2015. Ed evita un disastro ambientale senza precedenti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 agosto 2023

Una bomba a orologeria ha ticchettato per otto anni sulle splendide, vitali e frequentatissime acque del Mar Rosso. È la nave-cisterna yemenita Safer, un gigante lungo 362 metri di fabbricazione giapponese, con sulle spalle quasi 40 anni di indefesso lavoro e nella stiva oltre un milione di barili di petrolio.

Venerdì le Nazioni unite hanno annunciato urbi et orbi, con il tono di chi sa di averla scampata, il completamento delle operazioni di svuotamento della pancia della Safer, abbandonata a se stessa dal 2015, anno in cui la coalizione a guida saudita lanciò l’infausta operazione «Tempesta decisiva» contro lo Yemen.

OTTO ANNI DOPO la tempesta imperversa ancora, sulla sua natura «decisiva» si potrebbe discutere a lungo: la guerra non è mai terminata, seppure da mesi abbia affievolito significativamente la sua portata distruttiva. Non piovono bombe come negli anni peggiori, ma le condizioni di vita del popolo yemenita non sono migliorate per niente. La nave-cisterna appare quasi il suo specchio, metafora di un conflitto dimenticato su cui – però – potrebbe incidere una comunità internazionale finora silente.

Perché, per impedire che quella bomba a orologeria scoppiasse e provocasse – lo dice l’Onu – un disastro ambientale quattro volte peggiore di quello che nel 1989 devastò l’Alaska (la dispersione in mare di 40 milioni di litri di petrolio, circa 275mila barili, dalla petroliera Exxon Valdez), la comunità internazionale si è mossa e ha raccolto 120 milioni di dollari.

Per definire le dimensioni della potenziale devastazione, nell’ottobre 2021 la rivista Nature ha pubblicato lo studio di un folto gruppo di esperti. Hanno simulato la dispersione del contenuto della Safer, abbandonata agli agenti atmosferici e al mare, senza alcuna manutenzione: se fosse avvenuta d’estate, l’immensa macchia d’olio si sarebbe allargata verso sud-est, lungo le coste yemenite, per poi farsi strada verso ovest, lungo le coste eritree; in inverno, le correnti l’avrebbero condotta verso il nord del Mar Rosso. Senza interventi umani, il petrolio in tre settimane avrebbe raggiunto il Golfo di Aden.

E se entro 24 ore dall’incidente – continua Nature – la metà del petrolio sarebbe evaporata, le sue componenti più pesanti sarebbero rimaste in acqua, un’acqua che nasconde migliaia di specie di pesci, barriere coralline, un habitat unico al mondo e l’alga Trichodesmium erythraeum, quella le cui velature sprigionano macchie rossastre e un nome, Mar Rosso.

Dalla rivista Nature: la simulazione della dispersione del petrolio contenuto nella Safer

Un disastro, dunque. Soprattutto tenendo conto di quante persone lungo quelle coste ci vivono: «La dispersione – si leggeva su Nature – potrebbe impedire la fornitura di acqua potabile per 9-9,9 milioni di persone, di cibo per 5,7-8,4 milioni e (danni) per il 93-100% dei pescatori. Stimiamo anche un crescente rischio di ricoveri ospedalieri per malattie cardiovascolari dovute all’inquinamento tra il 5,8% e il 42%».

NON SOLO: il petrolio, spostandosi verso est, avrebbe paralizzato i porti yemeniti di Hodeidah e Salif, quelli che da anni Nazioni unite e organizzazioni umanitarie utilizzano – a seconda di quanto i sauditi decidano di aprire o chiudere il blocco navale e aereo imposto sullo Yemen – per far arrivare nel paese cibo e medicine, fondamentali alla sopravvivenza di una popolazione di 24 milioni di persone che per l’80% vive di aiuti. Altri due milioni vivono di pesca, settore che sarebbe stato cancellato per sempre da un simile disastro.

Insomma, pericolo scampato: «È un momento incredibile, l’aver impedito una catastrofe», ha detto Achim Steiner, amministratore del Undp, il Programma delle Nazioni unite per lo Sviluppo, coordinatore della messa in sicurezza della Safer.

L’Onu ha pubblicato un video di un minuto e mezzo, in cui mostra i lavori, lunghi 18 giorni, per svuotare la pancia della nave-cisterna e muovere il carico da 1,14 milioni di barili di petrolio su un’altra imbarcazione yemenita, la Most, solo dopo l’individuazione di mine sottomarine, chiaramente da evitare.

Sulla Safer non resta, ora, che un 2% del contenuto originario, sedimentato sul fondo della cisterna: sarà ripulito in seguito. Per la pulizia e la rimozione della Safer, però, servono altri 22 milioni di dollari che l’Onu insiste a chiedere ai donatori internazionali, governi e privati.

«Il miglior lieto fine è che il petrolio sarà ora venduto». Da chi e a chi non è ancora chiaro, non ci sarebbe ancora un accordo definitivo sulle modalità della “transazione”. Perché in Yemen nel frattempo la pace non è mai arrivata e non sono pochi gli attori interessati a incassare i proventi di un milione di barili di petrolio: gli Houthi, autorità de facto nel nord e nel centro del paese, e il governo ufficiale in auto-esilio ad Aden, che da un anno non ha nemmeno più un presidente ma un “consiglio” presidenziale, composto dalla galassia di forze attive a sud, da esponenti delle tribù ai gruppi separatisti fino ai parenti dell’ex dittatore Saleh rimosso nel 2011 dalla “primavera” yemenita.

LA STORIA RECENTE della Safer era cominciata nel 2015. Era ancorata al terminale petrolifero di Ras Isa, a poca distanza da Hodeidah, tra i più importanti porti commerciali del paese, di cui il movimento Ansar Allah (espressione politica della minoranza sciita Houthi) aveva assunto il controllo dopo la presa della capitale Sana’a, nel settembre 2014. I primi mesi di guerra avevano di fatto interrotto il lavoro della Safer, il suo essere “contenitore” al petrolio estratto a Marib. Abbandonata a se stessa: nessuna cura, nessuna manutenzione.

Nel novembre 2020 gli Houthi hanno autorizzato l’Onu a ispezionare la nave, ma la missione era stata rinviata a data da destinarsi. Fino al marzo 2022 quando le Nazioni unite hanno raggiunto un nuovo accordo con Ansar Allah. Il crowfunding ha tagliato il traguardo a settembre dello scorso anno. Venerdì il lieto fine, almeno per il Mar Rosso.

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