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Operazione Cabo Delgado, in Mozambico a tutto gas

Operazione Cabo Delgado, in Mozambico a tutto gasReclute mozambicane e unità della polizia militare ruandese nei pressi dell’Hotel Amarula a Palma – Ap

Jihad e controjihad in Africa Truppe ruandesi e interessi francesi fatali agli islamisti nella zona del super-giacimento. Riconquistate le città occupate in aprile. Maputo e Total tirano un sospiro di sollievo

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 24 settembre 2021

Solo l’arrivo di corposi contingenti militari stranieri ha permesso al governo del Mozambico di riprendere il controllo di città e villaggi nella parte settentrionale della Provincia di Cabo Delgado, dove anche gli sfollati sono finalmente potuti rientrare a casa.

GLI ISLAMISTI di Ansar al Sunna, o dell’«Isis Mozambico», come lo chiamano gli americani, sono stati respinti fino al confine con la Tanzania, dove si trovano le loro basi. Nell’aprile scorso avevano travolto la resistenza dell’esercito mozambicano occupando Mocimboa de Praia e Palma, due centri chiave per il controllo della penisola di Afungi, dove è stato scoperto il maggior giacimento di gas naturale di tutto il continente africano, che dalle prime stime farebbe del Mozambico il secondo produttore mondiale alle spalle del Qatar. Un affare potenziale da 150 miliardi di dollari.

Su questo nuovo tesoro hanno messo le mani soprattutto i francesi della Total, insieme all’Eni e All’americana ExxonMobil. Fermati più volte i lavori estrattivi per le condizioni di estrema insicurezza, le multinazionali dell’energia hanno esercitato enormi pressioni sul governo del Presidente Nyusi per avere garanzie sull’incolumità dei propri lavoratori.

A MAPUTO allora hanno ingaggiato prima i contractor russi del Wagner Group, che però non hanno risolto i problemi e anzi sono stati accusati di violazione dei diritti umani da parte di Amnesty International. Nemmeno i sudafricani del Dick Advisory Group sono riusciti a respingere i miliziani di Ansar al Sunna, chiamati localmente al Shabab, ma che non hanno collegamenti con l’omonimo gruppo somalo rispondendo direttamente alla rete africana dell’Isis.

Con la conquista della città di Palma, all’interno della zona di sicurezza estrattiva delle multinazionali, la situazione è sembrata persa. Per diversi giorni gli islamisti sono stati padroni ella città provocando un non identificato numero di vittime. Nella tragedia si è anche inserito lo scandalo dell’evacuazione con gli elicotteri degli stranieri dall’Hotel Amarula, con i mozambicani lasciati a terra. Gli unici locali che hanno trovato posto sui velivoli guidati dai mercenari sudafricani sono stati gli amministratori della città e, sembra, il padrone dell’hotel accompagnato dai suoi cani.

LA SOLUZIONE è passata allora dalla Francia, che ha più da guadagnare e da pardere a Cabo Delgado, anche in ottica geopolitica visto che nell’area tra il Canale del Mozambico e l’Oceano Indiano oltre alle Comore e a Réunion controlla cinque isolotti, le Iles Eparses, e grazie a loro un’ immensa Zona economica esclusiva di circa 640mila km quadrati. A Parigi si è dunque tenuto un incontro a tre fra il presidente del Mozambico Filipe Nyusi, il presidente ruandese Paul Kagame e Emmanuel Macron.

L’immediato invio di un migliaio di militari dell’esercito ruandese ha permesso all’esercito mozambicano di rispondere in maniera decisa agli islamisti, che hanno subito perso terreno. Ma l’arrivo dei ruandesi sotto la supervisione francese non è piaciuto ai paesi vicini, soprattutto al Sudafrica, abituato ad avere un ruolo attivo nelle crisi regionali e che tramite la Comunità di sviluppo dei Paesi dell’Africa meridionale (Sadc) ha prontamente guidato un contingente militare in Mozambico. Anche il Portogallo si è detto disposto ad aiutare l’ex colonia inviando in due tranche 120 consiglieri militari per addestrare le truppe locali e facendosi capofila di un possibile contingente europeo.

Così rafforzate, le truppe locali sono riuscite infine a ricacciare i miliziani islamisti oltre confine, ristabilendo l’ordine.

I COMBATTENTI di Ansar al Sunna, che è presente nella lista nera dei gruppi terroristi del Dipartimento di Stato americano, provengono delle frange più povere della popolazione della provincia di Cabo Delgado, soprattutto giovani disoccupati, ma non mancano elementi stranieri. Tanzaniani, ugandesi, congolesi e anche somali sono infatti presenti in Mozambico con l’obiettivo comune di creare uno stato islamico in Africa.

Il gruppo è stato fondato da Aboud Rogo Mohammed, predicatore keniano sospettato di essere la mente degli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania del 1998, ucciso in un agguato nel 2012. In Mozambico i suoi adepti sono guidati da Abu Yasir Hassan e da Ibn Omar, due mozambicani che probabilmente si sono radicalizzati all’estero, in Somalia o in Arabia Saudita, e che riescono colpire al di qua e al di là del confine con attacchi anche a infrastrutture tanzaniane della provincia di Mtwara.

MA NON MANCANO connessioni interne al paese. Nei quadri di Ansar al Sunna potrebbero infatti celarsi anche ex guerriglieri del Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo), appartenenti all’ala uscita sconfitta dal braccio di ferro interno al partito di governo, come riporta anche il Washington Post. Uno scontro durissimo che ha costretto vecchi combattenti a fuggire in Sudafrica o a riorganizzarsi proprio nella province del nord, loro entroterra naturale.
Cesar Guedes, rappresentante dell’Ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, sostiene che gli insorgenti si finanzino con il traffico internazionale di droga. Il Mozambico si trova infatti sulla rotta meridionale dell’eroina che proviene dall’Afghanistan e che partendo dai porti pakistani arriva sulle coste mozambicane, soprattutto a Cabo Delgado.

LA MARINA MOZAMBICANA non è in grado di controllare il canale del Mozambico e con l’inasprimento della sorveglianza nelle acque territoriali di Kenya e Tanzania, i porti del nord sono diventati cruciali per il traffico. Una volta toccata terra, i carichi passerebbero il confine con il Sudafrica e da qui – sempre secondo il dirigente Onu – raggiungono l’Europa. Si parla di un transito di circa 40 tonnellate ogni anno, per un cifra che sfiora il miliardo di dollari.

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