Open Arms, la difesa di Salvini: «Ong d’accordo con gli scafisti»
Ultima udieza La requisitoria dell’avvocata Bongiorno. In piazza i ministri leghisti e pochi militanti
Ultima udieza La requisitoria dell’avvocata Bongiorno. In piazza i ministri leghisti e pochi militanti
All’appello è mancato solo Matteo Piantedosi, tutti a rapporto gli altri quattro ministri della Lega. Più per ragion di partito, probabilmente. Di voglia di parlare la squadra del Capitano non ne aveva più di tanto. «Sono qui primo perché ero al governo con lui in quel momento, secondo perché sono della Lega come lui», si è limitato a dire Giancarlo Giorgetti, facendo riferimento alle delega che aveva nel Conte Uno, proprio quando i 147 migranti soccorsi dalla Open Arms furono tenuti in mare per 19 giorni dal divieto allo sbarco imposto dall’allora ministro degli Interni Salvini, finito per questo sotto processo con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio.
Un’apparizione fugace è stata quella di Giorgetti che, dopo pochi minuti, si è subito rintanato all’interno di un ristorante adiacente alla piazza, con la digos e la scorta della finanza a presidiare i due ingressi. «Il ministro non vuole parlare», hanno ripetuto dal suo staff. Fino a quando il titolare dell’Economia si è dileguato da un’uscita secondaria. Neppure Giuseppe Valditara sembrava avesse tanta voglia di commentare: «Credo di essere un cittadino libero che va dove ritiene di dovere andare, manifestare la solidarietà a Salvini credo sia un atto doveroso per chi crede nella sua politica» ha risposto a chi gli ha chiesto se la presenza dei ministri in piazza celasse uno scontro con la magistratura. «Non sono qui perché sono stato convocato, ho il legittimo diritto di venire a manifestare a sostegno di Salvini», ha tagliato corto pure Roberto Calderoli. Insomma, ministri presenti ma silenti.
Qualche sottosegretario e una manciata di parlamentari, ma la piazza è rimasta semivuota, assenti i militanti a parte qualche sparuto gruppetto al seguito dei dirigenti siciliani per fare scena. Di bandiere ne sono sventolate un paio, ma solo per un attimo. I manifestanti si sarebbero girati i pollici se non ci fosse stata la diretta, diffusa da due altoparlanti, dell’arringa dell’avvocato Giulia Bongiorno, che nell’aula bunker del carcere Pagliarelli per quattro ore ha cercato di smontare la tesi dell’accusa (che ha chiesto sei anni di carcere per Salvini). Qualcuno ne ha approfittato per sedersi nei bar per una granita o una arancina. I selfie di gruppo con le magliette nere con stampato il volto di Salvini hanno animato per tre ore i manifestanti che alla spicciolata si sono dileguati ancora prima che Nino Germanà, segretario della Lega in Sicilia, decretasse il rompete le righe.
La giornata era iniziata carica di tensione, con la notizia della scorta assegnata alla pm Giorgia Righi per gli insulti e le minacce ricevute via social dopo la richiesta di condanna per Salvini. «Il 20 dicembre, prima di Natale, scoprirò se per i giudici di Palermo sono colpevole di sequestro di persona perché ho bloccato gli sbarchi di clandestini o se sono semplicemente una persona che ha fatto il suo lavoro e ha difeso il suo Paese», le parole di Salvini in un video postato su X, con lo sfondo del molo trapezoidale di Palermo, prima di salire sull’aereo per Roma. «Siamo in mano a giudici che fanno politica di sinistra pro-migranti e pro-ong, che cercano di smontare le leggi dello Stato – ha attaccato il vice premier -. Questi giudici, non tutti, candidatevi alle elezioni se non vi va bene niente di quello che fa il governo o se ritenete che i confini dello Stato siano qualcosa di superato». Poi la chiosa: «Non mi fate paura da nessun punto di vista». Dalla sua parte il premier ungherese, Viktor Orban, che con un post gli ha ribadito pieno sostegno: «Siamo con te, amico mio. Salvini merita una medaglia per aver difeso l’Europa».
Per l’avvocato Giulia Bongiorno «Salvini va assolto perché il fatto non sussiste», ha «solo tutelato i confini dello Stato». L’arringa: «Gli atti di questo processo documentano che i migranti sono stati aiutati, assistiti, tutelati. L’Italia si mise in ginocchio. Ma Open Arms è stata irremovibile e non ha voluto fare sbarcare i migranti». Il tono sale ancora: «Nell’agosto del 2019 si stava combattendo una battaglia, ma certamente non contro i migranti. Salvini stava combattendo una battaglia contro chi confonde le pretese e i diritti. Ma usare a sproposito il termine diritto è molto pericoloso, innanzitutto per i diritti». E infine: «Non esiste il diritto di bighellonare per due settimane con i migranti a bordo, pur di non ottemperare un divieto. Non esiste il diritto di rifiutare le indicazioni degli Stati delle zone di ricerche e soccorso. Non esiste il diritto di scegliere dove, quando e come fare sbarcare i migranti». Fino all’accusa: «La verità è che ci fu una consegna concordata, non c’è un distress, non è stato un incontro casuale ma c’era un vero e proprio appuntamento tra gli scafisti e la Open Arms».
L’ong: «La difesa ha fatto la sua ricostruzione. Quello che noi di Open Arms abbiamo sempre ribadito, e che è stato oggetto della requisitoria dei pm nelle scorse udienze, è che a bordo dell’imbarcazione c’erano persone costrette in condizioni disumane. Persone vulnerabili, trattenute per 19 giorni nonostante la precarietà della loro situazione fisica e psicologica, oltre al fatto che già provenivano da un paese come la Libia dove avevano subito violenze e abusi», ha detto Oscar Camps, fondatore di Open Arms. «Questo è un processo unico nella sua specie: sono passati 5 anni dalla missione 65 e ne sono passati 3 dall’inizio del processo – ha aggiunto -. Abbiamo voluto costituirci parte civile e affrontare quasi 30 udienze perché riteniamo che noi, come le persone a bordo, abbiamo subito un danno. Ora attendiamo la sentenza»
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