Onu: carestia in metà Gaza. Cisgiordania in ebollizione
Senza tregua Bombe su una sede Unrwa, cancellata una famiglia a Rafah: l'attacco israeliano non si ferma, come non si fermano fame e malattie. Intanto crescono le crepe nel governo israeliano. E il ministero della salute boicotta l'inchiesta Onu sulle vittime del 7 ottobre
Senza tregua Bombe su una sede Unrwa, cancellata una famiglia a Rafah: l'attacco israeliano non si ferma, come non si fermano fame e malattie. Intanto crescono le crepe nel governo israeliano. E il ministero della salute boicotta l'inchiesta Onu sulle vittime del 7 ottobre
«È il più grande sfollamento vissuto dal popolo palestinese dal 1948». Così ha scritto su X l’agenzia dell’Onu, Unrwa, nata nel 1949 per tutelare il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, per descrivere i primi cento giorni di offensiva su Gaza. Il popolo delle tende è ancora il popolo delle tende.
Soffre la fame, vive in rifugi affollati, ha freddo, non ha più casa. E muore: ieri il bilancio delle vittime accertate è salito a 24.285, di cui 158 nelle ultime 24 ore. Tra le strutture colpite, una casa a Rafah (uccisa l’intera famiglia, 12 persone) e un magazzino dell’Unrwa a Deir el-Balah.
Sui social i funzionari Onu che riescono a entrare dall’Egitto raccontano le condizioni nel sud: «Alcuni non mangiano da giorni, i bambini non hanno vestiti invernali. La maggior parte dei prodotti non si trova e quelli disponibili costano troppo», dice Olga Cherevko dell’agenzia Ocha.
Che continua la conta degli affamati: 378mila palestinesi sono nella fase 5, «catastrofe»; 939mila nella fase 4, «emergenza». L’Oms invece dà conto delle malattie: ora si diffonde l’epatite A nel centro e a Rafah, le aree più affollate, per la carenza di acqua pulita e bagni e il collasso del sistema fognario.
Intanto la politica si muove a modo suo. L’Unione europea ha inserito il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, nella lista dei terroristi aprendo al congelamento di eventuali beni detenuti nel continente.
Si discute anche a Davos: ieri al forum svizzero il primo ministro del Qatar, Al Thani, impegnato nel negoziato tra Hamas e Israele, ha detto che «senza una soluzione politica a due stati, non ci sono formule magiche che riportino a prima del 7 ottobre». Necessari, dice, cessate il fuoco, rilascio dei prigionieri israeliani e palestinesi e fine dell’occupazione militare dei Territori occupati.
Consapevolezze emergono anche a Tel Aviv. Se, secondo fonti interne, il premier Netanyahu e il ministro della difesa Gallant non si parlano più, ieri alla Army Radio il ministro Sa’ar ha ammesso che no, «Hamas non è stato sconfitto» (ieri, tra l’altro una 50ina di missili sono stati lanciati dalla Striscia verso la città di Netivot).
Lunedì era stato il ministro Eisenkot a insistere per un accordo di scambio tra prigionieri e ad accusare il gabinetto di guerra di «mentire a se stesso».
Del caos interno alla politica israeliana è un segno la rivelazione di Haaretz secondo cui l’esercito sta avvertendo il governo di una «imminente implosione» della Cisgiordania, chiusa da tre mesi, sottoposta a raid militari e violenze dei coloni, senza quasi più lavoro né in Israele né nelle città palestinesi, divise tra loro e irraggiungibili.
Per questo l’esercito avrebbe trasferito una delle unità di élite da Gaza alla Cisgiordania, per prevenire esplosioni di rabbia. «Errore grave» l’ha definito il ministro dell’ultradestra Ben Gvir.
Il ministero della salute, intanto, ha ordinato ai medici israeliani di non parlare e collaborare con la Commissione internazionale di inchiesta dell’Onu che indaga sulle vittime del 7 ottobre. Lo riporta il Times of Israel.
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