Ombre nere sulle urne in Austria, l’Spoe spera nel voto utile
Elezioni Nel tendone gremito davanti alla sede dei socialdemocratici (Spoe) nella Loewelstrasse il sindaco di Vienna Michael Haeuplaccende il popolo «rosso»: «Non vogliamo lasciare questo Paese a quelli che in realtà […]
Elezioni Nel tendone gremito davanti alla sede dei socialdemocratici (Spoe) nella Loewelstrasse il sindaco di Vienna Michael Haeuplaccende il popolo «rosso»: «Non vogliamo lasciare questo Paese a quelli che in realtà […]
Nel tendone gremito davanti alla sede dei socialdemocratici (Spoe) nella Loewelstrasse il sindaco di Vienna Michael Haeuplaccende il popolo «rosso»: «Non vogliamo lasciare questo Paese a quelli che in realtà lo vogliono distruggere come hanno già tentato e in parte dimostrato per sei anni».
Il clima è combattivo e fiducioso, niente depressione. La speranza è l’ultima a morire, gli ultimi sondaggi dicono che la distanza tra il favorito assoluto Sebastian Kurz e il cancelliere Christian Kern si stanno accorciando. Yes we Kern, partono i cori, ed eccolo arrivare, più combattivo che mai: «Il nostro Paese è davanti a un bivio. Dobbiamo decidere se prendere la strada degli esperimenti nero- azzurri (destra-destra) o la via austriaca della responsabilità sociale a guida socialdemocratica …non permetteremo l’orbanizzazione dell’Austria».
Oggi 6,4 millioni di austriaci aventi diritto al voto lo decideranno. È prevista un’affluenza alta, un numero altissimo – 889. 000, circa un 17% dell’ elettorato – ha richiesto schede per votare fuori seggio o per posta mentre oltre il 20% degli elettori è ancora incerto.
I governi austriaci fin dal 1970 sono stati a guida socialdemocratica, con l’eccezione dei sei anni di governo di destra sostenuto da Joerg Haider. ll partito popolare (Oevp) da anni è secondo e in calo di consensi, per invertire la rotta si è fatto rivoltare come un guanto da poco più di un ragazzo, l’enfant prodige dagli occhi azzurri, Sebastian Kurz.
Una carriera tutta dentro il partito popolare, iniziata sedicenne, gradino per gradino, fino a diventare il ministro degli Esteri più giovane d’Europa. Oggi ha 31 anni, studi inconclusi, nessuna professione oltre la politica, è riuscito nel paradosso di mettersi in scena come outsider issando la bandiera del cambiamento e della paura dell’ Islam strappata a Strache. Acclamato come una rock star intercetta un clima diffuso, stanco dell’immobilismo della Grosse Koalition. È stabilmente in testa da mesi al 33% nei sondaggi.
Paga il mantra snocciolato in ogni dove: ridurre le tasse, fermare l’immigrazione «non più sostenibile nel nostro sistema sociale». Impassibile nei dibattiti televisivi – ce ne sono stati una cinquantina, un record – liquida ogni critica ai tagli sociali, non dichiarati tali ma impliciti nel suo programma, come dirty campaigning.
Del gioco sporco tra guru dello spin, tra socialdemocratici e popolari ricaduto soprattutto sui primi, si è approfittata l’estrema destra di H.C. Strache, da sempre campione in campagne del fango contro immigrati e avversari politici, presentandosi come la faccia più pulita.
In televisione il leader della Fpoe, partito che discende storicamente dagli ex nazisti, è apparso in una veste nuova, più morbida e dialogante, di chi aspira ad andare al governo. Non più referendum sull’uscita dall’Europa, ma più «nazione», in sintonia con i paesi dell’Est del gruppo Visegrad.
Fairness, equità, la parola più usata sui cartelloni di propaganda. Intesa come niente servizi sociali per chi non ha pagato contributi, quindi solo per gli austriaci e non ai rifugiati «che non se lo sono guadagnati», perciò non sarebbe fair. Nel mirino, la Mindestsicherung, il reddito di cittadinanza, che sarebbe la ragione per cui i migranti arrivano in Austria. Tuttavia i toni duri, apertamente razzisti, sono relegati alle seconde e terze file o alla Rete.
Tre sono i partiti a rischio quorum, stabilito al 4%. Tra questi, incredibilmente, i Verdi, al 12,4% nel 2013. La campagna presidenziale vincente per Alexander van der Bellen ex capogruppo verde, paradossalmente non ha dato loro nessuna spinta in avanti. Anzi, in un anno, consumata ogni risorsa, è sbiadita la loro linea politica. Hanno vissuto una grave crisi, che li ha divisi in tre parti, tra l’espulsione dell’organizzazione giovanile (ora insieme al Partito comunista Kpoe) e la scissione del cofondatore, lo sferzante e spiritoso Peter Pilz che si presenta con una lista che porta il suo nome.
Capolista dei Verdi, è rimasta una candidata di grande esperienza e preparazione ma poco televisiva, la vicepresidente del Parlamento europeo Ulrike Lunacek.
Incerto anche il risultato dei Neos, partito liberal di Matthias Strolz.
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