Oliver Stone e quella incontenibile sete di energia nell’apologetico «Nuclear»
Venezia 79 Il regista statunitense presenta fuori concorso un documentario sull'energia nucleare
Venezia 79 Il regista statunitense presenta fuori concorso un documentario sull'energia nucleare
Ad andare in scena nella sala delle conferenze stampa della Mostra del Cinema è uno strano spettacolo. A prendere la parola sembrerebbe un regista statunitense di fama mondiale – Oliver Stone – e invece c’è qualcun altro a parlare al suo posto. È il mercato mondiale, con la sua logica di profitto, a suggerirgli le parole all’orecchio.
Stone è al Lido per presentare, fuori concorso, il documentario Nuclear. Lo scopo è quello di convincere il pubblico della bontà dell’energia nucleare, ritenuta l’unica opzione per combattere il cambiamento climatico grazie alla possibilità di sostituire i combustibili fossili. Il regista arriva a sostenere che i movimenti ambientalisti che dagli anni ’70 si battono contro il nucleare sono in realtà finanziati dalle compagnie petrolifere. Oltre a questa becera accusa di malafede nei confronti di attivisti e militanti che si sono messi in gioco per una causa – se pure implicazioni del genere fossero accadute, di certo non riguardano l’impegno sincero di molti – l’accusa su cui insiste il regista è quella di «ignoranza» nei confronti di chi è spaventato dalla fissione nucleare: «Le leadership politiche sono codarde perché seguono il volere dei cittadini, che spesso non sanno molto in materia».
A FARGLI ECO, l’autore del libro A Bright Future, Joshua Goldstein, a cui il film è ispirato: «Su Chernobyl si è fatta molta propaganda, come nel caso della serie prodotta da Hbo. Le persone pensano ci siano stati milioni di morti, mentre si sono registrati solo alcune migliaia di casi di cancro». Ad apparire ancora più raccapricciante, è la soddisfazione con la quale Stone parla delle nuove centrali nucleari in costruzione in giro per il mondo. Un discorso che suona piuttosto stonato nel momento in cui c’è forte preoccupazione per la centrale di Zaporizhzhia, al centro del conflitto tra Russia e Ucraina. E la situazione geopolitica entra in Nuclear in maniera piuttosto marcata, nel documentario viene infatti lodata la cooperazione tra Usa e Russia in tema di nucleare. «Se rimonterò quella parte di film? Dagli anni ’80 c’è stato un ottimo scambio tra le due nazioni, quindi non parliamo di odio perché viene e va». D’altronde che il regista avesse simpatie per Putin è risaputo, dopo che nel 2017 ha pubblicato sotto forma di libro e di film una luna intervista al Presidente russo. In conferenza stampa dice di non averci più parlato da allora, e che preferisce non fare altri commenti sulla faccenda.
TUTTO IL DISCORSO di Stone e Goldstein si basa, in fin dei conti, su un assunto: «Il mondo avrà presto necessità del doppio, se non del quadruplo, dell’energia di oggi». Un fabbisogno basato su questo tipo di sistema economico, sul capitalismo energivoro che la coppia sponsorizza in continuazione. I due si dicono preoccupati per i propri figli, perché hanno in dote un mondo con una crisi climatica sempre più forte. Invece di essere questa un’occasione per ripensare il sistema di produzione e il titanismo che ci spinge a dar vita a scorie radioattive per migliaia di anni, non c’è altra opzione se non continuare su questa strada: l’importante è smettere di preoccuparsi e abbracciare la bomba. Ma la centrale di Zaporizhzhia è lì a dimostrare come, non appena salta l’ordine del «business as usual», c’è ben poco da stare tranquilli.
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