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Økapi, metodo microtonale

Ostinato Per le Notti Bianche di AngelicA a Bologna il 4 febbraio è protagonista Økapi. Nome d’arte di Filippo Paolini, un francese/italiano che agisce col montaggio di materiali sonori altrui. Montaggio […]

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 14 gennaio 2023

Per le Notti Bianche di AngelicA a Bologna il 4 febbraio è protagonista Økapi. Nome d’arte di Filippo Paolini, un francese/italiano che agisce col montaggio di materiali sonori altrui. Montaggio il più delle volte di frammenti minimi, tanto da rendere ben difficile riconoscere le fonti. Quello che si ascolta è una vitale costellazione di suoni delle più svariate origini, solo ogni tanto con qualche connotazione ironica.

Alle «Notti Bianche» con che opera nuova, Økapi?

Per queste Cosmogonie lavoro sul microtonalismo. Utilizzo campioni che ho ricavato da brani di Ivor Darreg, uno sperimentatore americano del secolo scorso. Ho comprato anni fa un disco di cose sue e per parecchio tempo l’ho considerato inascoltabile. Poi ne ho estratto frammenti, li ho mischiati, naturalmente con frammenti di altri autori, e a poco a poco la musica che ne usciva ha cominciato a piacermi.

C’è un tipo di cultura musicale che prevale nei suoi gusti o a cui si riferisce di più nelle sue composizioni?

Io sarei un melomane, amo la melodia, l’armonia, in viaggio ascolto molta Ecm, Ralph Towner per esempio, oppure gli Oregon, non si direbbe, vero? (Nelle opere di Økapi è arduo rintracciare un motivo, tantomeno romantico, nel caleidoscopio di suoni, ndr). Questo al di fuori di un discorso impegnativo sull’estetica, ovviamente. Per fare la mia musica uso tutto e mi piace tutto e mi identifico con tutto: punk, musica classica e contemporanea «dotta», freejazz, pop. Mi importa molto il coinvolgimento del corpo e l’accoglienza del corpo.

L’ultima sua opera pubblicata in disco è Otis (Folderol, 2020, ndr), una sorta di filosofia sonora degli ascensori. Perché sono così importanti?

È la questione della verticalità. Io sono ossessionato dal tempo che passa. Coltivo l’idea di fermare il tempo. Il tempo che passa è orizzontale. Queste scatolette che ti trasportano dal basso in alto e viceversa fermano il tempo, secondo me, è come se lo fermassero.

Nei suoi lavori c’è più improvvisazione o più scrittura?

Improvviso quando suono in pubblico con altri. Scrittura zero. Di note o di segni. Nasco come dj, mantengo un qualcosa di fisico nel mettere assieme un brano. Ho innumerevoli cartelle con dentro innumerevoli campioni di musica, da Messiaen, a cui ho dedicato un album (Pardonne-moi, Olivier!, Off Label, 2016, ndr), a Ray Conniff, da Lester Bowie a John Adams. Non ho mai prodotto un suono fatto da me, ho la fortuna di avere tanti amici che mi offrono così tanti suoni.

Insomma, lei ha la vocazione al furto.

Negli ultimi tempi sono sempre meno plagialista e sempre più compositore. Parlo di metodo. Nel risultato io compositore lo sono sempre stato.

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