Oggi Kenya al voto con il solito spettro delle violenze post-elettorali
Africa Ventidue milioni alle urne per scegliere il presidente. L’uscente Kenyatta appoggia Odinga, in leggero vantaggio sul filo-occidentale William Ruto. Soltanto il 4 per cento di indecisi, saranno loro a determinare il vincitore
Africa Ventidue milioni alle urne per scegliere il presidente. L’uscente Kenyatta appoggia Odinga, in leggero vantaggio sul filo-occidentale William Ruto. Soltanto il 4 per cento di indecisi, saranno loro a determinare il vincitore
Giornata di elezioni in Kenya: oggi 22 milioni di persone sono chiamate a esprimere il proprio voto in un momento di passaggio per il Paese. Dopo 10 anni Uhuru Kenyatta lascia la presidenza della Repubblica e al suo posto potrebbe essere eletto per la prima volta un esponente del gruppo etnico luo, Raila Odinga, che arriva al voto con un leggero vantaggio su William Ruto (kalenjin).
A LIVELLO INTERNAZIONALE sono due i fattori di maggior interesse. Nel caso venisse eletto Odinga, la politica estera dovrebbe mantenere gli equilibri di Kenyatta, quindi una collaborazione con tutti, Cina, Stati uniti ed Europa, cercando di mantenere un equilibrio tra le diverse istante.
Se dovesse essere eletto Ruto, potrebbe assumere una prospettiva più filo-occidentale: ha dichiarato che pubblicherà i contratti del governo con la Cina e provvederà a espellere i cittadini cinesi che lavorano illegalmente. Si propone poi di non continuare il piano di grandi infrastrutture, ma di garantire prestiti alle persone che realizzano piccole attività produttive.
Nell’immediato, tuttavia, la preoccupazione è per le possibili violenze che potrebbero manifestarsi in seguito alla comunicazione dei risultati. Tutte le elezioni politiche in Kenya sono state caratterizzate dalla violenza.
NEI PRIMI ANNI con la presenza del partito unico, la violenza era di Stato: gli oppositori sparivano, venivano incarcerati e ogni dissenso veniva silenziato; non c’erano violenze aperte, di strada come dopo, con il multipartitismo. Nelle elezioni del 2007 in particolare vi furono più di mille morti, 600mila sfollati e migliaia di infrastrutture distrutte.
Quest’anno il compromesso storico tra Kenyatta e Odinga aggiunge una variabile in più. Una preoccupazione fatta propria anche dal vescovo di Nyeri, Mons. Muheria, che ha raccomandato i giovani a «preservare la pace, a non cadere vittima di macchinazioni politiche e ai richiami del tribalismo e dell’incitamento all’odio. Non siate strumento delle violenze. Troppe volte i giovani sono stati strumentalizzati per incitare la violenza».
Anche l’Associazione dei giornalisti del Kenya (Pjak) ha fatto appello al governo perché ai giornalisti sia garantita la sicurezza. Da gennaio a oggi oltre 50 giornalisti sono stati aggrediti durante manifestazioni politiche.
Vi sono stati casi, ha spiegato il presidente Kennedy Muriithi, «di giornalisti espulsi dalle riunioni politiche e a cui è stato negato il diritto di svolgere il proprio lavoro, sono stati insultati e alcuni profilati in base alla loro etnia, religione e persino minacciati. Sappiamo che si tratta di un’elezione di transizione con una posta in gioco alta, ma non dovremmo tornare al passato».
HUMAN RIGHTS WATCH (Hrw) si è soffermata sulle violenze delle forze di polizia, «sull’incapacità di affrontare gli abusi della polizia nelle precedenti elezioni in Kenya che rischia di incoraggiare a continuare la loro cattiva condotta durante le elezioni generali di quest’anno», ha affermato il direttore di Hrw per l’Africa orientale, Otsieno Namwaya. Hrw sostiene di aver documentato l’uccisione di almeno 104 persone da parte della polizia durante le elezioni del 2017.
Una ricerca svolta dal manifesto in collaborazione con l’Università di Torino in diverse aree di Nairobi (Korogocho, Kariobangi, Huruma, Saika, Luckysummer e Dandora) e Marsabit evidenzia che da gennaio 2022 il 60% degli intervistati dichiara di aver assistito a episodi di violenza elettorale: nel 65% «lievi», nel 35% «mediamente serie». Il 90% degli intervistati ritiene che le violenze siano inferiori rispetto allo stesso periodo del 2017.
PIÙ INTERESSANTE il fatto che il 62% ritenga che le elezioni saranno «fair and safe», corrette e pacifiche. In base al campione intervistato il 95% sa già per chi voterà: resta un 5% di indecisi in linea con altri sondaggi secondo i quali gli indecisi sarebbero il 4% (hanno risposto alle domande persone di età compresa tra 21 e 54 anni, 58% di uomini e 42% di donne).
Tutto dipenderà dal livello della classe dirigente, come ha spiegato l’attivista Raphael Obonyo: «La tolleranza tra gli attori politici giocherà un ruolo cruciale nel promuovere elezioni pacifiche». Basta che una iena si procuri un accendino per bruciare tutto il bosco.
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