Odinga tace e il Kenya brucia
Voto avvelenato Il candidato sconfitto rifiuta la mano tesa di Kenyatta. Scontri nelle sue roccaforti. L’opposizione: «100 morti»
Voto avvelenato Il candidato sconfitto rifiuta la mano tesa di Kenyatta. Scontri nelle sue roccaforti. L’opposizione: «100 morti»
Notte bianca in Kenya. Notte di festa e balli per i sostenitori del presidente riconfermato Uhuru Kenyatta in centro, nei pressi del quartier generale di Jubilee, a Satellite e Saba Miles. Notte di proteste per i sostenitori di Raila Odinga, con scontri tra l’esercito e i manifestanti in particolare a Mathare Valley (dove è morta una bambina di 9 anni uccisa da un proiettile vagante) e Kibera, dove nella zona di Olimpyc sono stati bruciati negozi e un generatore di corrente, per cui tutti sono rimasti senza luce. Lancio di lacrimogeni e spari in mattinata alle 10 a Kamkunji dentro Kibera e tre i morti accertati a Liani Saba (villaggio di Kibera). La zona è stata «sigillata» dalle forze dell’ordine.
VICTORIA, ATTIVISTA SOCIALE, chiede a tutti di stare calmi: «State in casa, tutti siamo tristi, ma nessuno merita di morire». Tutta la notte si sono uditi colpi di arma da fuoco a Korogocho, Kariobangi (dove si segnalano 7 morti), spari più sporadici a Kawangware, Riruta e Dandora. L’esercito con i corpi scelti del General Service Unit (Gsu) è presente in forze nei diversi quartieri. Proteste anche a Siaya dove è stata uccisa nella notte una persona, secondo John Okumbe. I residenti della zona hanno impedito la rimozione del corpo da parte della polizia perché «crediamo che nasconderanno le prove». Violenze anche a Kisumu (epicentro degli scontri post-elettorali che nel 2008 provocarono almeno 1500 vittime), dove risulta morta una persona, Homa Bay e Migori.
IL MINISTRO DEGLI INTERNI Matiang’i nega che siano stati uccisi dimostranti pacifici, nega l’uso di live bullets (proiettili veri) e critica i facili allarmismi dei social media, «costruiti solo per suscitare impressione e creare fake».
L’OPPOSIZIONE SOSTIENE che i morti siano oltre cento tra cui dieci bambini, ma senza offrire riscontri precisi, mentre per la National Commission on Human Rights sarebbero 24, di cui 17 nella sola Nairobi, dall’8 agosto. Le violenze, tuttavia, sembrano circoscritte e delimitate.
IL GIORNO PRECEDENTE (11 agosto) era stata una giornata lunghissima conclusasi alle 21 quando il presidente della commissione elettorale dopo aver letto i risultati di ognuna delle 47 contee in cui è suddiviso il Paese aveva dichiarato la vittoria del presidente uscente Uhuru Kenyatta. Il colpo di scena prima della nomina: mancavano le firme dei commissari sui risultati di voto e la portavoce che cercava di stemperare la tensione paragonando i differenti moduli elettorali 34A, 34B e 34C alle taglie di reggiseno: «Stesso numero, dimensioni diverse». La fatidica designazione veniva accolta dalla platea del Boma’s of Kenya con un canto religioso, Nasema asante kwa Mungu wangu (grazie Dio nostro). Kenyatta, in lacrime, aveva preso la parola rivolgendosi prima di tutto a Raila Odinga: «Noi non siamo nemici. Siamo cittadini di una Repubblica. (…) Ti tendo la mano in segno d’amicizia. Il Kenya per crescere ha bisogno della collaborazione di tutti». Poi si è rivolto ai cittadini: «Le elezioni vanno e vengono, così come i politici, ma i vostri vicini restano, stringetegli la mano».
L’INVITO NON HA AVUTO L’ESITO desiderato. Nelle roccaforti dell’opposizione le persone restano convinte che la commissione elettorale non sia stata indipendente, come spiega Boniface Otieno, abitante di Kibera: «Qui nessun ente in Kenya ha un organo indipendente, non esiste. Se sei indipendente fai la fine di Chris Msando (responsabile del voto elettornico ucciso alla vigilia delle elezioni, ndr) . È questo il messaggio che chi è al potere ha voluto dare agli altri membri della commissione elettorale». Poi insiste Joackim: «Questa è mafia, mob sana». Ma c’è chi come Odede dice basta: «Alla fine sono le nostre scuole ad essere bruciate, le nostre case, i nostri piccoli negozi, non i beni dei ricchi». Secondo Peter Wongoi di Shalom House «ci saranno problemi fino a lunedì, poi tutto rientrerà. La gente è stanca, da una settimana non lavora e qui se non lavori non mangi: dobbiamo pensare a come andare avanti».
ODINGA NON HA PARLATO e ha perso un’occasione per provare a utilizzare tutto il suo ascendente sui giovani che protestano nelle starde. Alla fine il sole asciuga le lacrime dei lacrimogeni, è facile, impossibile, difficile, ma kutosha sasa, basta.
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