Obama canta il reggae nel tempio di Bob Marley
Obama doveva avere fin da giovane un debole per Bob Marley, se la prima cosa che ha fatto al suo arrivo in Giamaica, mercoledì 8 aprile, è stata quella di […]
Obama doveva avere fin da giovane un debole per Bob Marley, se la prima cosa che ha fatto al suo arrivo in Giamaica, mercoledì 8 aprile, è stata quella di […]
Obama doveva avere fin da giovane un debole per Bob Marley, se la prima cosa che ha fatto al suo arrivo in Giamaica, mercoledì 8 aprile, è stata quella di precipitarsi con il suo staff alla casa-museo dell’artista scomparso a Hope Road Kingston, far aprire i cancelli a un insonnolito custode, ed entrare nella Hall of Fame per ammirare i dischi d’oro e di platino della collezione. E il suo entusiasmo, l’ha trascinato a togliersi giacca e cravatta e intonare alcuni dei capolavori, tratti da Exodus e Legend, i suoi preferiti, per la gioia esterrefatta dei presenti; è molto probabile che Rita, moglie e manager implacabile di tutto ciò che concerne l’eredità di Big Bob, si sia fregata le mani, assaporando la pubblicità che il presidente ha portato alla sua causa e agli affari; se mai ce ne fosse stato bisogno.
Il mattino dopo, la visita di rito, a firmare il librone delle presenze alla Jamaican House; la Primo Ministro Portia Simpson, tutta trafelata, colta dai fotografi nell’atto di sussurrare al suo orecchio, lo deve aver confuso fino al punto di fargli sbagliare la data, 10 aprile invece del 9. Probabilmente il presidente aveva già la testa al summit di oggi a Panama City, dove è attesa la sua storica stretta di mano con il fratello del Lìder Màximo, Raúl Castro. Prima del meeting pomeridiano con i giovani leader del Caricom (Caribbean Community) per discutere il destino del petrolio venezuelano di Petro Caribe, che dal 2005 termina il suo percorso nelle pompe di una decina di Stati, oltre alla Giamaica, quali Saint Vincent & Grenadine, Antigua e Barbuda, St Kitts, St Lucia, Dominica e Grenada, i due ministri dell’Energia, Ernest Monitz per gli Usa e Philip Paulwell per la Giamaica, si erano già incontrati per siglare un accordo epocale, che entro la fine dell’anno consentirà al gas liquido statunitense (Lng) di arrivare in Giamaica; non si sa ancora a quale prezzo e condizioni.
Quaggiù non è mai esistito il gas da autotrazione, e la benzina è mostruosamente cara, per uno stato delle Americhe; la 90, costa circa un dollaro e mezzo al litro; predomina il crudo texano, contrastato solo da quello di Petro Caribe appunto, che oltre a costare di meno, consente dei pagamenti a lunga scadenza. Però Portia non si è fatta sfuggire occasione di incassare almeno questo risultato.
L’atteso speech a Uwi, l’Università delle West Indies a Mona, è stato preceduta da una protesta dei gruppi omofobi, contro le aperture del presidente ai gay e ai matrimoni tra individui dello stesso sesso. Obama ha scelto il gotha universitario, per dichiarare che gli Usa investiranno circa 70 milioni ai fini di migliorare l’istruzione dei Caraibi e America Latina; ciò ha fatto l’effetto di una provocazione, considerando che proprio la Giamaica è il fanalino di coda in questo settore; meno del 10% dei cittadini si può permettere di avviare i propri figli agli studi universitari, e anche l’istruzione media è carente; il numero delle high schools (scuole medie) è ridicolo a fronte di oltre 3 milioni di individui.
La raffica di domande che ha investito Obama, è stata suggellata dalla punzecchiatura di un anziano rasta, che gli ha chiesto cosa ne pensasse della recente introduzione della modica quantità di ganja (marijuana) nella legislazione del Paese, dopo decenni di repressione. Il presidente ha tergiversato, inciampando nelle parole, visibilmente imbarazzato. Alla fine se l’è cavata parlando di «silver bullet», proiettile d’argento, cosa che la legge non è, a suo parere, perché non risolve i problemi della disoccupazione. Una posizione comprensibile.
Obama è amato dai giamaicani, che vedono in un presidente nero il riscatto di secoli di schiavitù ed emarginazione, che dura tuttora nei confronti di coloro che il Padreterno non ha dotato di una «light complexion» la carnagione chiara, che qui consente posti di lavoro dignitosi e salari più alti. Ciò non toglie che l’incognita di riportare l’isola sotto il controllo ancora più serrato a livello commerciale degli Stati uniti, sia fonte di preoccupazione. Specie a fronte della fine del suo mandato, che non è lontana.
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