Dopo l’uccisione a Jenin, l’11 maggio, della giornalista Shireen Abu Akleh – la possibilità che a sparare nella sua direzione sia stato un militare israeliano si fa più concreta –, il premier Naftali Bennett aveva messo in chiaro che i raid di esercito e polizia nella città palestinesi non si sarebbero interrotti. E così è stato. Nella notte tra venerdì e sabato, forze speciali israeliane con il favore dell’oscurità sono penetrate a Jenin per una «operazione antiterrorismo». Sono state accolte dal fuoco di combattenti di varie formazioni armate palestinesi. Negli scontri a fuoco è stato ucciso un 17enne, Amjad al-Fayyed, militante delle Brigate al Quds, l’ala militare del Jihad islami. È stato colpito al collo e al torace. Le foto che circolano sui social lo mostrano con in mano un mitra.

Dall’inizio dell’anno, 56 palestinesi, quasi tutti giovani, sono stati uccisi dal fuoco di militari israeliani. Diciotto dei quali a Jenin e nei villaggi circostanti. Tra questi Daoud Zubeidi, fratello di Zakaria Zubeidi, l’ex comandante delle Brigate di Al Aqsa (Fatah) protagonista l’anno scorso, assieme ad altri cinque detenuti palestinesi, di una fuga clamorosa dal carcere israeliano di Gilboa. «Mettiamo in guardia dalle conseguenze dei continui crimini dell’occupazione israeliana contro il nostro popolo», ha protestato il premier dell’Autorità nazionale palestinese Mohammad Shtayyeh. Jenin, storica roccaforte della militanza palestinese contro l’occupazione, è una spina nel fianco dell’esercito israeliano. Inoltre, dalla città e dai villaggi vicini sono giunti quattro dei sette palestinesi autori dei cinque attacchi armati compiuti dal 22 marzo in Israele. La scorsa settimana è stato ucciso un ufficiale della polizia israeliana durante uno scontro a fuoco andato avanti per ore nel campo profughi di Jenin in cui sono rimasti feriti una dozzina di palestinesi.

Il governo Bennett ripete che il suo obiettivo è garantire la sicurezza dei cittadini israeliani e di riprendere il controllo della situazione. Ma esso stesso contribuisce alla tensione con decisioni che rischiano di portare a una nuova escalation. Come quella annunciata dal ministro della pubblica sicurezza Omer Bar Lev che per il 29 maggio, nel Giorno di Gerusalemme, autorizza il passaggio della Marcia delle Bandiere della destra religiosa attraverso il quartiere arabo nella città vecchia. Persino il leader della destra ultranazionalista ed ex premier Benyamin Netanyahu era intervenuto per fermare la provocazione a danno dei palestinesi e potenzialmente in grado di scatenare un nuovo conflitto tra Israele e il movimento islamico Hamas. Invece il laburista Bar Lev ha ritenuto di dover dare un pieno via libera ai nazionalisti che, sventolando centinaia di bandiere di Israele, scandiranno slogan contro i palestinesi dalla Porta di Damasco fino al Muro del Pianto.

Intanto un nuovo attacco israeliano, lanciato venerdì sera con missili dalle alture del Golan, ha preso di mira la periferia di Damasco uccidendo tre persone.