Nuovi raid aerei di Israele in Siria, morti e feriti
Medio oriente Sarebbero 11 i morti nel bombardamento, tra i quali sette combattenti filoiraniani. Intanto l'Amministrazione Trump, secondoun'agenzia curda, intenderebbe riconoscere l'area di Jazira, nel Rojava, come una regione separata dalla Siria
Medio oriente Sarebbero 11 i morti nel bombardamento, tra i quali sette combattenti filoiraniani. Intanto l'Amministrazione Trump, secondoun'agenzia curda, intenderebbe riconoscere l'area di Jazira, nel Rojava, come una regione separata dalla Siria
Un’altra notte di bombardamenti. Scie luminose di missili che attraversano l’oscurità, seguite da esplosioni. Gli abitanti di Damasco e di altre località siriane le vedono spesso, da anni. E talvolta pagano con la vita questi attacchi notturni. Israele non conferma ma sono pochi i dubbi sulla paternità del pesante raid aereo che lunedì notte si è concentrato su “obiettivi” a sud della capitale siriana e nei pressi della città meridionale di Deraa. I media ufficiali siriani parlano di un nuovo attacco israeliano, aggiungendo che la difesa antiaerea ha abbattuto buona parte dei missili sganciati dai cacciabombardieri. Anche questo attacco ha causato vittime ma non si conosce con precisione il numero delle vittime. La Sana, l’agenzia di stampa statale siriana, ha riferito di due civili uccisi – tra cui una donna – e di sette feriti. Invece per l’Osservatorio siriano per i diritti umani, a Londra e legato all’opposizione, i morti sarebbero 11, tra i quali sette combattenti stranieri filoiraniani.
La posizione di Israele è nota. Il premier Netanyahu descrive i raid come operazioni preventive volte a impedire che l’Iran e i suoi alleati possano allestire in Siria basi da dove lanciare attacchi a Israele. Una “difesa attiva”, così è definita, che la Siria, alle prese con lo scontro tra l’esercito e le organizzazioni armate islamiste e jihadiste, ha dovuto assorbire senza reagire. La superiorità militare di Israele, soprattutto aerea, di cui si è fatta garante l’Amministrazione Trump di nuovo nei giorni scorsi, è netta e non colmabile dalla Siria. I russi, alleati di Damasco, mantengono inattivi gli S-300 che hanno schierato in Siria che pure sarebbero in grado di respingere gli attacchi. Il modus vivendi stabilito da Vladimir Putin e Benyamin Netanyahu per la crisi siriana prevede che Mosca lasci a Israele il diritto di autodifesa, ossia di attaccare indisturbato le postazioni iraniane e le milizie sciite in Siria. Non è un mistero che il Cremlino vedrebbe con piacere il ritiro delle forze di Tehran dalla Siria. Così come è noto che la Russia stia chiedendo a Bashar Assad di fare concessioni al tavolo dei negoziati sulla futura carta costituzionale che il presidente siriano non è pronto a fare.
A preoccupare Damasco più di tutto però è il piano statunitense in Medio oriente che non è limitato solo alla questione israelo-palestinese. In esso rientrano, ad esempio, la recente normalizzazione tra Israele ed Emirati, e politiche volte a provocare la caduta di Assad e la fine dell’alleanza tra Siria, Iran e il movimento libanese Hezbollah. Il 17 giugno Washington ha varato sanzioni dure contro la Siria impegnata a combattere la pandemia e una grave crisi economica. E stando all’agenzia curda Basnews sta ora lavorando al riconoscimento Usa dell’indipendenza o della piena autonomia da Damasco della regione di Jazira, nel Rojava. Secondo l’agenzia, gli Usa starebbero discutendo con i clan arabi locali e i rappresentanti dei partiti curdi di una soluzione che vedrebbe ogni componente etnica amministrare la propria area, grazie anche al sostegno americano e saudita. Per raggiungere l’obiettivo, aggiunge Basnews, Washington vuole riunire sotto un unico ombrello le varie organizzazioni politiche e militari curde, divise sui passi da fare e sui rapporti con Damasco, con gli Usa e vari sponsor regionali. Se vero, si tratterebbe della realizzazione del progetto di cui si parla di frantumazione del territorio siriano, suddiviso nel nord-est sotto controllo curdo, nella regione occidentale di Idlib nelle mani dei jihadisti e della Turchia e il resto del paese (più o meno) sotto il controllo del governo centrale.
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