«Rimedieremo prestissimo», «siamo al lavoro», «acceleriamo», «è pronto il cronoprogramma». Scegliete una qualsiasi di queste dichiarazioni del ministro della Giustizia Nordio degli ultimi mesi e affiancatela alla notizia, arrivata ieri, che il governo si prenderà sei mesi di tempo in più per attuare la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm, approvata dal parlamento nel giugno 2022. La riforma è una legge delega e il governo avrebbe dovuto presentare i decreti attuativi entro il 21 giugno prossimo. Ma con un emendamento al decreto Pnrr che arranca al senato ha spostato la scadenza. Dunque la riforma di cui Nordio parla dal giorno del giuramento, intenzionato com’è a «correggere» il lavoro della ministra Cartabia, la riforma per la quale ha istituito anche un «tavolo di lavoro», vedrà la luce, forse, entro il 31 dicembre. È andata anche bene, la prima idea era di prendersi un intero anno ancora.

Ieri in via Arenula si sono riuniti con il ministro i rappresentanti degli avvocati e dei magistrati. Nordio vuole andare incontro alla richiesta dei penalisti e modificare una norma già in vigore della Cartabia che ostacola l’impugnazione delle sentenze. L’Anm ha preso tempo per le sue osservazioni. Ma intanto è tornato di attualità un problema nel funzionamento del Csm che è solo parzialmente affrontato, e certamente non risolto, nella riforma Cartabia. E mai nemmeno citato tra le intenzioni di intervento di Nordio. Si tratta dell’incertezza che pesa sulle nomine del Csm, ormai quasi sempre messe in discussione dalla giustizia amministrativa.

Se ieri, a Roma, il Tar Lazio, in primo grado, ha confermato la nomina del pm Colaiocco a procuratore aggiunto della Capitale, a Palermo il presidente del Tribunale Balsamo ha salutato i colleghi dopo che prima il Tar e poi il Consiglio di Stato hanno dato ragione al candidato che il Csm aveva scartato, Morosini. Così Balsamo ha dovuto lasciare la guida della procura, dopo quasi due anni di dirigenza culminati con la cattura di Messina Denaro.

Ma il caso più clamoroso è quello della procura di Reggio Calabria che da cinque anni è guidata da Giovanni Bombardieri. Nomina (dell’aprile 2018) confermata dal Tar nel 2021 ma annullata dal Consiglio di Stato l’anno successivo. Ribadita però dal Csm, all’unanimità, nel luglio scorso e definitivamente annullata dal massimo organo di giustizia amministrativa a gennaio di quest’anno. Ieri il Consiglio di Stato ha comunicato l’esito di un’altra sentenza (del 3 aprile) con la quale ordina al Csm di adeguarsi e assegnare l’incarico direttivo al ricorrente, il magistrato di Cassazione Seccia, indicando addirittura nel vicepresidente del Csm Pinelli il “commissario” per dare seguito alla sentenza nel caso il Consiglio non adempia nei prossimi 30 giorni.

Un’altra lentezza è invece quella che preoccupa Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe. Che in una nota ha denunciato l’abitudine del Csm di lasciar passare anche anni prima di esprimersi sulla conferma dei magistrati che hanno incarichi direttivi. Così mantenendo nella funzione persino i dirigenti sui quali gravano procedimenti disciplinari o che hanno valutazioni negative dei consigli giudiziari, «senza la garanzia che possano esercitare il loro ruolo con piena serenità e legittimazione».