Visioni

«Nonostante», il limbo della vita nella metafora di un ospedale

«Nonostante», il limbo della vita nella metafora di un ospedaleValerio Mastandrea e Dolores Fonzi in «Nonostante»

Venezia 81 La seconda opera di Valerio Mastandrea regista ha aperto la sezione Orizzonti. L'esperienza del coma e una tenerezza terminale

Pubblicato circa un mese faEdizione del 29 agosto 2024

Tiene le carte coperte Valerio Mastandrea presentando qui il suo secondo film da regista (e protagonista), Nonostante, che inaugura la sezione Orizzonti. «Una bella storia d’amore», annuncia. «Una storia che parla della vita», aggiunge. «Come le feste di quando avevamo tredici anni», e questo sta scritto nelle note di regia a proposito del ruolo del caso e dell’intensità delle passioni. E poi: l’ospedale è una metafora, l’immobilità la vita normale. Sorride sornione, amaro, come ci ha abituato da sempre il suo personaggio.

In Nonostante siamo dentro un grande ospedale moderno, in un’anonima nuova periferia romana. Alcune figure, lo stesso Mastandrea, Lino Musella e Laura Morante li prenderesti per visitatori ma sono le anime di quelli che attendono in coma, invisibili a tutti gli altri che vivono nella realtà. E siamo sicuri che la realtà sia tanto migliore di quest’altra condizione di cui ci ha sempre colpito l’impenetrabile mistero e il segreto, a cavallo dell’aldiqua e dell’aldilà? E il legittimo timore di spoilerare (come si dice oggi) e rovinare la sorpresa, non ha l’effetto contrario di svelare tutta la metafora? Forse un po’ di impoverirla.

SCRITTO con Enrico Audenino il copione si presterebbe a una certa dose di metacinema. Sarebbe un film zombie neorealista, una commedia sentimentale a orologeria. Cosa succede quando il protagonista si innamora dell’ultima delle anime appena arrivate (Dolores Fonzi l’attrice argentina), ricoverata dopo un piccolo incidente d’auto, veloce ad uscire dal coma ma con tutto il tempo di innamorarsi e passeggiare romanticamente sulla spiaggia di Fregene in quella specie di non vita che non sappiamo? Solo un personaggio sembra avere il dono di passare da una all’altra realtà: il volontario (Giorgio Montanini) che fa animazione nelle corsie e cerca di svegliare i dormienti a botte di Eduardo de Crescenzio e Loredana Bertè. Ma fino a un certo punto: non si arriverà di certo a cambiare lo scorrere del tempo come avrebbe fatto un film di genere.

Si resta soltanto sull’orlo dell’umorismo macabro, di una tenerezza terminale che era stata nelle corde di Mattia Torre (Mastandrea è stato il protagonista della serie esistenzial-ospedaliera La linea verticale), ma che potrebbe tranquillamente arrivare fino alle metafisiche fanfaronate che Verdone coatto di Un sacco bello raccontava ai portantini di un vecchio ospedale.

«È UN FILM che parla di chi ha il coraggio di buttarsi», spiegava ancora Mastandrea nelle interviste di ieri mattina. Suggerendo di cercare qualche altra spiegazione dalle parti della fragilità dei personaggi: «Il maschio avrà sempre dei codici a cui attaccarsi, forza e virilità», e qui parla il marito manesco di uno dei fenomeni dell’anno per incasso e dibattito social C’è ancora domani.
Nel «nonostante», spiega infine, c’è il fuori campo. Da una parte l’amore, dall’altra tutto il resto, la realtà, la morte. Il film termina con un’ultima sequenza su una moderna barca sul Tevere, il protagonista circondato dai suoi vecchi amici. Inquadrata dall’alto del solito drone, il battello si inabissa sotto il ponte della metropolitana molto prima di vedere qualsiasi bellezza piccola e grande della città.

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