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Non voto e vittime civili, i numeri non tornano in Afghanistan

Non voto e vittime civili, i numeri non tornano in AfghanistanSeggio elettorale a Herat – Afp

Legislative Il giorno dopo una complicata tornata elettorale. Najiba Ayubi di Radio Killid: «Qualche candidato presentabile c’era, ma il voto sarebbe valso carta straccia»

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 23 ottobre 2018

«Le elezioni? Un disastro completo». Najiba Ayubi la pensa diversamente dal presidente Ashraf Ghani, che ha parlato di «successo» per le elezioni parlamentari tenute sabato e – inaspettatamente – domenica in Afghanistan. Direttrice di Radio Killid, rete di radio indipendenti con sedi in molte province del paese, Ayubi è tra i cittadini che non sono andati a votare. Tanti.

Secondo la Commissione elettorale indipendente, sarebbero stati 4 milioni gli afghani che hanno votato. Un numero eccessivo, notano i ricercatori dell’Afghanistan Analysts Network di Kabul. Anche se si trattasse di 4 milioni, si tratterebbe comunque di meno della metà degli 8.5 milioni di afghani registrati nelle liste elettorali su un bacino di cittadini eleggibili di circa 15 milioni e su una popolazione di 35 milioni (ma non esistono censimenti recenti). A votare, dunque, soltanto una minoranza.

Diverse le ragioni, due più rilevanti delle altre: l’insicurezza e la sfiducia nel sistema politico ed elettorale. I Talebani non hanno fatto il colpaccio clamoroso, ma – lontano dai riflettori, concentrati su Kabul – hanno dimostrato di controllare il territorio. Hanno intimidito, minacciato, negato il diritto al voto in molte aree rurali, lontane anni luce dalle principali città come Herat e Kabul, dove la partecipazione è stata alta. Le forze di sicurezza hanno dimostrato di essere più affidabili di quanto ci si aspettasse, ricevendo il plauso generale, ma anche i barbuti incassano un dividendo politico, perché sono riusciti a sabotare le elezioni senza affondare troppo il colpo sulle vittime civili: 17 secondo il ministero degli Interni, ma anche qui i numeri sembrano inverosimili, al ribasso. Così come è poco verosimile che sia stato aperto il 92% (circa 4.500) dei circa 5.000 centri elettorali previsti, come dichiarato dalla Commissione.
Un documento interno dello stesso organismo recita infatti che soltanto il 63% (circa 3.200) avrebbe aperto. Una differenza sufficientemente ampia da permettere di manipolare i risultati finali. E la stessa decisione di aprire alcuni seggi nella giornata di domenica, non prevista, dà molto da pensare qui a Kabul.

Ecco la seconda ragione che ha tenuto gli afghani lontani dalle urne: la sfiducia in un sistema considerato troppo corrotto per essere riformabile. «Non ho votato perché il mio voto non sarebbe stato al sicuro. Il sistema è troppo opaco», continua Najiba Ayubi. «Qualche candidato presentabile c’era, anche qualcuno serio e onesto, da sostenere, ma il voto sarebbe valso carta straccia». Le elezioni non sono finite con la chiusura delle urne. La parte più difficile arriva ora. La Commissione per i reclami dovrà verificare le migliaia di segnalazioni ricevute. La Commissione elettorale indipendente dovrà assegnare i seggi. La comunità internazionale dovrà fare buon viso a cattivo gioco plaudendo alla democrazia. Gli elettori, invece, potranno sapere se hanno avuto ragione a fidarsi delle istituzioni a partire dal 10 novembre, con l’arrivo dei primi risultati parziali. Quelli finali il 22 dicembre.

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