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«Non svendo l’Italia». Meloni contro tutti, Draghi compreso

«Non svendo l’Italia». Meloni contro tutti, Draghi compresoMeloni e i ministri Giorgetti e Tajani alla Camera – foto LaPresse

Consiglio Ue La premier in aula in visita. Match con Conte sul Mes. L’ex premier? «La politica estera non è farsi fare delle foto». Poi corregge: «Ce l’avevo col Pd»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 13 dicembre 2023

Come sempre Giorgia Meloni sfodera gli artigli nella replica, al termine della discussione alla Camera sulle sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo di domani. Azzanna chiunque la abbia criticata ma si scatena proprio nell’ultima risposta, che riguarda più l’intervista di Elly Schlein sul Mes che non gli interventi dei deputati sullo stesso tema: «È vero noi ci eravamo impegnati a ratificarlo e questo ci mette ora in una situazione difficile. Ma chi ha deciso di prendere quell’impegno? Non il parlamento che aveva dato mandato opposto ma il governo Conte, col favore delle tenebre, il giorno dopo essersi dimesso». Con tanto di sfida: «Spero che qualcuno mi risponda».

Giuseppe Conte non si fa pregare. Replica sullo stesso tono. Rinfaccia alla premier la «scommessa» persa sulla vittoria «e sulla vita» degli ucraini. La accusa di non prendere posizione sui bombardamenti a Gaza. Fa i nomi dei ministri che hanno approfittato del Superbonus salvo poi bersagliarlo e nella lista figura anche Meloni Giorgia.

La premier ribadisce che l’Italia potrebbe non votare il nuovo Patto di stabilità: «Trattativa serrata, bisogna vedere dove si ferma». Però non c’è nessuna paura dell’isolamento: «Meglio isolati che svendere l’Italia come hanno fatto altri». Non risparmia una frecciata neppure a Draghi: «Mi ha molto colpito che si sia fatto riferimento al grande gesto da statista del mio predecessore Mario Draghi e la foto in treno verso Kiev con Macron e Scholz. Per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente. L’Europa non è a 3 ma a 27, bisogna parlare con tutti».

Tutti vuol dire anche con Orbán, nonostante le sue posizioni contrarie all’ingresso dell’Ucraina nella Ue: «Cosa significa dire che devo scegliere. La posizione di Orbán forse sarebbe diversa se la Ue avesse trattato in altro modo l’Ungheria». Accusano il governo di aver sposato l’austerità? «Vuol dire che abbiamo smesso di buttare soldi dalla finestra con cose come il Superbonus, che sono costate soldi tolti alle famiglie e dati a truffatori e organizzazioni criminali».

Meloni si mantiene pacata in materia di Medio Oriente, con una posizione piuttosto equilibrata a favore dei due Stati, del rafforzamento dell’Anp e degli aiuti alla popolazione di Gaza. Non chiede il cessate il fuoco ma sottolinea che il diritto di Israele alla difesa non deve violare le norme del diritto internazionale. Altra musica sull’Ucraina. Ai 5S risponde a muso duro: «La vostra posizione è codardia applicata alla geopolitica: l’Ucraina si deve arrendere così c’è la pace al prezzo della libertà».

Le comunicazioni erano state molto meno pirotecniche. Meloni era partita da quel che nell’agenda del vertice Ue non c’è, non formalmente almeno, ed è giusto che sia così perché proprio quell’argomento assente, il Patto di stabilità, sarà in realtà al centro dei colloqui e degli incontri. La trattativa «è difficilissima», ammette la premier, però «siamo ancora in partita» e il merito è della «virtuosità» e «serietà» del suo governo. Enumera le prove di tanta virtù ma l’espressione resta corrucciata.

La presidente del consiglio è furibonda, tanto che ha dovuto rimettere mano più volte al suo discorso, e non riesce a nasconderlo. Non si aspettava che l’unica macchia nella lista dei risultati smaglianti, il capitolo che «pesa come un macigno sui conti pubblici», insomma il Superbonus, uscisse grazie a Forza Italia dalla fossa dove sperava di averlo sepolto. Oltretutto nel momento peggiore: ci si può immaginare che uso faranno i falchi della proposta di prorogare proprio la voce fallimentare, ereditata dai predecessori, che il governo usa per giustificare il deficit di quest’anno e anche i problemi del prossimo.

Tutto è ancora in ballo ma il governo è comunque soddisfatto perché nell’ultima bozza di accordo sulle regole di bilancio Ue, accolta dai quattro Paesi maggiori ma contrastata da altri sette Stati “frugali”, il rientro sul deficit dovrà tenere conto, per il triennio 2024-27, degli interessi sul debito maturati per le spese strategiche, riconversione verde, digitalizzazione, difesa. È un risultato tangibile, consentirà «di alleggerire l’impatto del deficit rispetto alle prossime manovre di bilancio». È anche «un grande riconoscimento di principio», perché conferma la necessità di una politica europea coerente: «Non avrebbe senso definire politiche sempre più ambiziose e mantenere regole che limitano gli investimenti per realizzarle».

Ma, soddisfazione a parte, la norma, peraltro ancora oggetto di un braccio di ferro, è molto diversa e molto meno incisiva di quel che chiedeva l’Italia. La premier lo ammette, «naturalmente auspicavamo e lavoriamo perché questo principio venga effettuato stabilmente». Resta in sospeso cosa farà l’Italia, sia sul Patto che sul Mes, se dovrà accontentarsi di un risultato molto inferiore a quel che chiedeva.

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