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Non solo golpisti, il Pcc cerca risposte alla crisi di Cuba

Non solo golpisti, il Pcc cerca risposte alla crisi di CubaL’ex presidente Raul Castro e il successore Miguel Díaz-Canel per le strade de L’Avana – Ap/Ismael Francisco

Americhe Assemblee nei quartieri poveri: tra i manifestanti dell’11 luglio tanti chiedevano più benessere e democrazia dal basso. Il governo resiste al bloqueo Usa, ma i prezzi sono alle stelle e il peso perde valore 

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 6 febbraio 2022

Da mesi i dirigenti del partito (comunista) e del governo sono impegnati in visite e riunioni in molte decine di quartieri periferici e nelle comunità più sfavorite di Cuba per, secondo le parole del presidente Miguel Díaz-Canel, conoscere «quali sono le preoccupazioni della popolazione e dei luoghi dove lavora l’organizzazione di base (del Pcc) e poi discutere di questi temi», per affrontarli in sede di partito e di governo.

La politica di un rinnovato dialogo con la società nasce come risposta soprattutto alle manifestazioni di protesta dell’11 luglio dell’anno scorso. Le più numerose e con maggior partecipazione e carica emotiva e politica da molti anni.

ANCHE NELL’ULTIMA partecipazione del presidente e primo segretario del Pcc, all’inizio di febbraio, a un’assemblea di base del partito a San José de las Lajas, nella provincia di Mayabeque, Díaz-Canel ha ripetuto che quelle manifestazioni furono un tentativo «di golpe blando» organizzato, direttamente e indirettamente, dagli Usa.

Per questa ragione in circa 160 processi in corso anche in questi giorni, a manifestanti dell’11 luglio è stata contestata l’accusa di sedizione, un reato politico che comporta pene assai pesanti, oltre 20 anni di carcere. Imputazioni e condanne che hanno valso al governo di Cuba aspre critiche e accuse.

L’INTENSA ATTIVITÀ sia del presidente che del premier e di altri alti dirigenti nel visitare i quartieri e le comunità più sfavorite delle maggiori città dell’isola e la parallela attività in sede di assemblee municipali del Poder popular per organizzare un decentramento che favorisca una maggiore responsabilità della base indicano però che nel vertice politico vi è la consapevolezza che almeno una parte dei manifestanti esprimeva richieste riguardanti la qualità della vita – come la scarsezza dei beni di prima necessità e l’inflazione galoppante – e anche una maggiore democrazia dal basso.

Ufficialmente, dunque, si considerano le manifestazioni dell’11 luglio e quelle seguite solo come una questione di «ordine pubblico» da affrontare ribadendo la centralità dell’autorità e della sicurezza dello Stato. E con la repressione autoritaria: secondo fonti di ong ci sarebbero stati quasi 800 arrestati, compresa una cinquantina di minori di 18 anni, tenendo conto che a Cuba si è penalmente responsabili a 16 anni.

Nella pratica però – anche senza manifestarlo pubblicamente – c’è un impegno a indagare e affrontare il nucleo popolare di tali proteste. Ovvero a dare risposte di carattere economico-sociale e politico a un malessere della popolazione dalle connotazioni anche politiche.

La gravità della crisi in corso è sotto gli occhi di tutti. L’inflazione corre il rischio di diventare incontrollabile: nel mercato «parallelo» il dollaro ha raggiunto quota 100 pesos (Cup) mentre il cambio ufficiale è un dollaro per 24 Cup.

Secondo i dati dell’Onei (l’Istat cubano), l’inflazione è del 73,3% mentre nei calcoli di vari economisti (e del mercato nero) è dieci volte superiore. La Tarea Ordenamiento varata alla fine del 2020 per ridare centralità al peso cubano nella vita della popolazione ha fallito l’obiettivo.

CUBA È SEMPRE più dollarizzata. Per una consistente parte della società cubana con un salario medio di 5mila Cup non si arriva alla fine del mese. Fare la spesa è un calvario quotidiano.

È vero che il governo cubano, per di più in un periodo di pandemia, ha resistito e resiste – come ripete Díaz-Canel – alla più dura, anzi spietata, aggressione sia finanziario-commerciale (l’embargo, bloqueo) sia di azioni di diretta e violenta ingerenza volte a un «cambio di governo» da parte degli Stati uniti (Biden compreso).

MA HA RESISTITO potendo assicurare alla popolazione, oltre una forte protezione dal Covid-19 mediante vaccini nazionali, solo «una situazione poco più che di sottosviluppo», secondo l’economista Mauricio de Miranda. Dunque con forti fattori di instabilità sociale.

Dal primo febbraio è iniziato il processo di consulta popular del nuovo Codice di famiglia che verrà poi posto a referendum per la sua approvazione. Si prevedono in tutta l’isola 78mila assemblee, con un numero massimo di circa un centinaio di partecipanti a causa della pandemia, nel corso delle quali i cittadini potranno sia chiedere spiegazioni, sia esprimere dissenso e proporre emendamenti.

Si tratta– come titola in prima pagina il quotidiano del Pcc Granma del 2 febbraio – di «un’opportunità per rafforzare il dialogo sociale». Ma anche per verificare il grado di espressione di un dissenso – specie per quanto riguarda il matrimonio paritario, ovvero tra coniugi dello stesso genere, come pure dell’affidamento di figli a coppie gay – che non è solo e soprattutto nelle file di cittadini di fede cristiana, ma anche all’interno dello stesso Pcc.

SARÀ UN TEST importante per stabilire se a Cuba è permesso un dissenso critico o se qualsiasi forma di manifestazione viene automaticamente definita, come è accaduto dallo scorso 11 luglio, una violazione dell’ordine pubblico. E perciò è illecita e va repressa.

Un test sulla democrazia socialista. Come scrive il giurista Juan César Guanche: «La difesa democratica dell’ordine pubblico non è la difesa dell’autorità dello Stato, ma l’esercizio dei diritti reciproci di libertà e giustizia».

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