Nel nostro Paese gli «schiavi moderni» sono 197 mila, pari allo 0,33% dell’intera popolazione. Il che determina che l’Italia sia in una posizione piuttosto bassa rispetto alla macro-regione europea ed euroasiatica, ma solo perché abbiamo una popolazione assoluta molto più numerosa della maggior parte degli stati dello stesso campione esaminato. In realtà siamo al settimo posto per numero totale di individui che vivono nell’inferno della schiavitù moderna.

Si noti che il fenomeno non riguarda solo individui stranieri, che pure sono la schiacciante maggioranza. Come ha spiegato il sociologo e ricercatore dell’Eurispes, Marco Omizzolo: «non è impossibile che anche i cittadini dei Paesi Occidentali più industrializzati possano lavorare in condizioni di schiavitù. Nella mia attività mi è capitato di agire contro il proprietario di un’azienda agricola in provincia di Latina che teneva segregati lavoratori del Bangladesh, un ucraino e un uomo di mezza età sardo. Come quell’uomo sardo, dice Omizzolo, «esistono decine di casi documentati» di individui nati e cresciuti in Italia che per i motivi più disparati sono finiti a lavorare in condizioni di schiavitù.

«Se dovessi incontrare il vostro primo ministro e parlare del fatto che in Italia esiste la schiavitù moderna, non sarebbe la mia opinione» ha dichiarato Grace Forrest, fondatrice dell’Ong Walk Free che si occupa da 25 anni di compilare l’Indice «non si tratta di singoli aneddoti. La situazione è peggiorata rispetto all’Indice del 2018: i lavoratori sono in un contesto di crescente vulnerabilità e la risposta delle autorità è minore, soprattutto rispetto alla piaga delle agromafie. Ma anche per quanto riguarda settori insospettabili, legati alle cose che compriamo, usiamo e vendiamo i tutto il mondo sotto la prestigiosa etichetta Made in Italy, il quadro appare torbido».Si stima che tra prodotti elettronici, indumenti, prodotti eno-gastronomici, tecnologia e tessili, il giro d’affari generato dagli «schiavi moderni» in Italia sia pari a 10,9 miliardi di dollari