Non è un invito, ma l’astensione è legittima
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Non è un invito, ma l’astensione è legittima

Elezioni europee Si moltiplicano le voci, anche autorevoli e in special modo a sinistra, che condannano l’astensione e gli astenuti. Tra così tanto discorrere di valori liberali, il troppo zelo come sempre […]
Pubblicato 4 mesi faEdizione del 7 giugno 2024

Si moltiplicano le voci, anche autorevoli e in special modo a sinistra, che condannano l’astensione e gli astenuti. Tra così tanto discorrere di valori liberali, il troppo zelo come sempre disturba. Già, perché in una democrazia liberale l’astensione è una più che legittima manifestazione di volontà, va da sé dissenziente. Sempre che una legge democraticamente adottata non ne sancisca l’obbligo (che in Italia alcuni anni or sono si è voluto rimuovere), il voto resta sì un dovere civico, ma ciascuno è libero di interpretarlo a suo modo: anche non votare è un modo legittimo di esercitarlo.

Le motivazioni del non voto (come della scheda bianca) sono tante, ma, tutto sommato, due prevalgono. La prima è: non voto perché non mi riconosco, nemmeno approssimativamente (l’approssimazione è in materia inevitabile), in alcuna delle proposte avanzate in campagna elettorale.
La seconda motivazione è: non voto perché il mio voto non conta e non vale nulla. Ci si ricorda di me al momento delle elezioni, ma dei miei problemi ci si dimentica non appena i seggi si sono chiusi. Le due motivazioni possono benissimo cumularsi. In ogni caso, è piuttosto difficile definire infondate l’una e l’altra, ed è ovvio chiedersi come mai i tanti arcigni critici dell’astensione, non si soffermino a considerarne con un po’ di attenzione le ragioni e a chiedersi come si possa curarla.

Per prima cosa chiedendosi quale Europa promettono queste elezioni. La promessa della destra reazionaria è piuttosto chiara. Lo è molto meno quella di un’Europa federale cara alle forze grossolanamente definibili liberal-democratiche e progressiste.
Ora, la parola federalismo suona molto bene, ma i suoi significati sono parecchio diversi. Il federalismo è nato storicamente come solidarietà tra diversi. Questo era il senso del federalismo tedesco rivisitato nel dopoguerra e del quasi federalismo immaginato dai padri costituenti tramite le regioni. Chi sta più avanti soccorre chi sta più indietro.

Per contro a lungo andare è venuto di moda un altro federalismo, che ha la sua matrice nel federalismo reaganiano, in cui ciascuno pensa a sé e che è il remoto progenitore dell’autonomia differenziata.
Ebbene, di quale federalismo si parla? Non basta buttar lì la giaculatoria della coesione per dare qualche garanzia. In Europa, per chi non se ne fosse accorto, è in atto un micidiale duello tra paesi del nord e del sud, la cui posta è per ciascuno la salvaguardia del proprio sistema industriale. Vi rientrano le draconiane misure sul debito che i paesi del nord hanno imposto a quelli del sud (in special modo all’Italia) e che al momento sono il principale punto fermo dell’Europa prossima ventura. Altro che riconversione ecologica e consimili… Salvo dichiararsi apertamente per un rovesciamento radicale, allo stato degli atti, federalismo significa mantenere l’Europa attuale e anzi consolidare le sue ingiustizie.

Non bastasse, in questi mesi c’è un altro punto fermo che è stato piantato e che è perfettamente congruente con l’attuale federalismo. Con impressionante accelerazione, le istituzioni dell’Unione si vanno intrecciando con la Nato, la quale ha già in programma di trovarsi in guerra nel giro di tre-cinque anni. È una promessa a dir poco inquietante.

Allora, anziché prendersela con chi non vota, in via preventiva gettando la responsabilità di esiti elettorali sgraditi e imbarazzanti sul popolo dei non votanti, perché non prendersela con chi formula l’offerta politica e con chi, tra un’alternanza e l’altra, ha nel tempo apparecchiato questa Europa? Sono costoro la ragione dello sciopero degli elettori, e della travolgente avanzata dell’estrema destra nazionalsovranista. Con la quale qualcuno è già pronto a cooperare.

È prevedibile che le nuove regole sul debito distruggano ciò che resta dello Stato sociale in molti paesi. E soprattutto in Italia. Dove la responsabilità del debito è delle dirigenze politiche e non certo degli elettori, i quali, che votino o meno, quel debito lo pagheranno molto caro, seppure non nella stessa misura: i ricchi meno degli altri. In conclusione: questo non è affatto un invito ad astenersi. Per nulla. Intende solo dire che chi non vota ha ottime ragioni e merita rispetto. Votare non è molto più civico e democratico che astenersi.

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