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Nomine Ue, sul pallottoliere di von der Leyen l’accordo c’è

Nomine Ue, sul pallottoliere  di von der Leyen l’accordo c’èUrsula von der Leyen e António Costa – foto European council

Elezioni europee La presidente della Commissione annuncia l’intesa. Meloni darà appoggio esterno. Ok di Ppe, liberali e socialisti al portoghese Costa (Consiglio) e a Kallas (Esteri)

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 26 giugno 2024

Il boccino si ferma accanto ai nomi che circolano da tempo. Sono quelli del socialista António Costa, ex premier portoghese, per la presidenza del Consiglio europeo, e della premier estone liberale Kaja Kallas per il ruolo di Alto rappresentante, una sorta di ministro degli Esteri Ue. Così prevede l’intesa faticosamente messa in piedi dalla presidente uscente della Commissione, Ursula von der Leyen, che la vedrà riconfermata alla testa dell’Unione europea per i prossimi cinque anni. L’accordo raggiunto tra il suo gruppo, il Ppe, con i liberali e i socialisti alla vigilia del Consiglio europeo di domani e venerdì a Bruxelles, dovrà poi passare al vaglio dell’Europarlamento.

LA TRATTATIVA è stata chiusa ieri in videoconferenza da negoziatori di altissimo profilo: il primo ministro polacco Donald Tusk e quello greco Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, il premier spagnolo Pedro Sánchez e il cancelliere tedesco Olaf Scholz per i socialisti, il presidente francese Macron e il premier olandese Rutte per la famiglia liberale.
Esclusa dagli accordi Giorgia Meloni, che è però rientrata in gioco grazie a Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione ha infatti indicato la volontà del negoziato diretto, precisando che tratterà con Meloni non come leader del gruppo dei Conservatori, ma in quanto interlocutrice istituzionale. La presidente del Consiglio italiana è stata contattata da uno dei negoziatori, che ha confermato la volontà di garantire a Roma un portafoglio importante nella prossima Commissione europea.

SE GIORGIA MELONI dovesse essere coinvolta o meno era stato il leitmotiv di questi giorni pre-Consiglio, tra veti di socialisti e liberali – ribaditi ieri – e spinte da parte di chi punta a una maggioranza spostata a destra. Anche perché Francia e Germania, per quanto terremotate dal voto europeo, insieme a Spagna e Polonia sono rappresentate nella trattativa per i top jobs, le cariche apicali dell’Unione europea.
«Fin dai giorni del G7, la presidente della Commissione ha capito che non può dare per scontata la sua rielezione. Ha deciso di trattare personalmente il consenso e i voti di cui ha bisogno per essere rieletta». Così ci spiega una fonte Ppe che abbiamo raggiunto ieri a Bruxelles.

IL PROCESSO di riconferma è complicato e rischioso. Complicato perché il via libera da parte della maggioranza dei leader è solo il primo step, a cui segue il voto parlamentare che si terrà a luglio a Strasburgo. Rischioso perché la sua elezione non sarà a scrutinio palese, e nel segreto dell’urna tutto può succedere. Sulla carta la maggioranza Ppe-socialisti-liberali conta circa 400 voti: 40 in più della soglia necessaria fissata a 361 (su 720 totali). Ma i franchi tiratori sono stimati tra il 10 e il 15%, rendendo necessario a von der Leyen assicurarsi ogni possibile consenso aggiuntivo.
«Chi assicura, ad esempio, che tutti i socialisti voteranno per lei?», continua la fonte, quando chiediamo se i popolari, con i loro 190 voti, sono compatti sul suo nome. «Potrebbero mancare ad esempio i voti del Pd», che ha attaccato la presidente della Commissione per il suo feeling con Meloni. «E in ogni caso, il voto all’Eurocamera sarà tutto su di lei. E lei sa che, se non trova la maggioranza, è una catastrofe: la sua carriera politica è finita».

COME È NOTO, Roma sta giocando la sua partita sulla Commissione puntando le fiches su Raffaele Fitto per il ruolo di Commissario al Bilancio con delega a Pnrr e Coesione. La conferma del nome non c’è ancora, ma l’asse tra la presidente della Commissione e Meloni appare più solido che mai. Centrale il ruolo di Tajani, link tra Meloni e Ppe, oltre al fatto che «il rapporto tra Fitto e Weber è ottimo», sottolinea la fonte. Anche perché l’ex governatore della Puglia è stato a lungo esponente popolare in quota Fi, prima di essere uno degli architetti della svolta conservatrice di Giorgia Meloni in Ecr.

Puzzle delle nomine composto? In direzione ostinata e contraria – ma in questo caso non è un pregio – c’è sempre il premier ungherese Viktor Orbán. Per far passare il pacchetto dei top jobs in Consiglio c’è bisogno di una maggioranza, non certo dell’unanimità. Quindi né i malumori del premier ceco Peter Fiala, il cui partito è in Ecr, né quelli di Budapest possono impensierire troppo gli altri leader europei. «L’accordo che il Ppe ha stretto con la sinistra e i liberali va contro tutto ciò su cui si fonda l’Ue. Invece dell’inclusione, diffonde i semi della divisione», protesta il premier ungherese. Sempre più isolato, nel giorno in cui da Bruxelles arriva l’ufficialità dell’avvio del negoziato per l’adesione dell’Ucraina all’Ue.

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