«Noi riders siamo essenziali ma senza tutele. Ora vogliamo un vero contratto»
Intervista Sciopero dei ciclofattorini in 30 città. Parla Antonello, rider romano e attivista della rete "Riders per i diritti": "Dopo l’accordo tra Assodelivery e Ugl il nostro lavoro è peggiorato. La legge va rispettata e devono riconosciuti i diritti e le tutele dei dipendenti"
Intervista Sciopero dei ciclofattorini in 30 città. Parla Antonello, rider romano e attivista della rete "Riders per i diritti": "Dopo l’accordo tra Assodelivery e Ugl il nostro lavoro è peggiorato. La legge va rispettata e devono riconosciuti i diritti e le tutele dei dipendenti"
«Scioperiamo oggi in trenta città perché vogliamo un vero un contratto nazionale per i rider, agganciato a quello della logistica con tutte le tutele del lavoro subordinato – afferma Antonello del movimento «Rider per i diritti Roma» – Un orario garantito che non abbiamo, una paga oraria per la disponibilità e l’abolizione del cottimo, la base dev’essere la paga oraria, le mensilità aggiuntive, il pagamento delle ferie, l’indennità della malattia e maternità. E poi l’abolizione del contratto attuale siglato solo da Ugl e Assodelivery che fotografa solo la situazione esistente. Ai consumatori chiediamo di non usare le piattaforme del delivery food in solidarietà con la nostra battaglia».
Quella di oggi si annuncia la più ampia mobilitazione in Italia dopo un anno di pandemia con spettacolo, scuola, logistica e trasporto locale in sciopero. È la risposta a uno dei vostri slogan: «Non è per noi ma per tutti»?
Sì. Ci troviamo insieme con alcune delle categorie che hanno subìto di più gli effetti della pandemia. Mentre per lo spettacolo è chiaro che la pandemia ha significato la chiusura delle attività, invece purtroppo per noi è ancora diffusa l’idea che la pandemia ci stia facendo lavorare di più.
Non è così?
No, perché c’è stato un aumento del numero di addetti. Questo è un lavoro che ha più flessibilità in entrata e di conseguenza in uscita. Il lavoro per ciascuno è diminuito a fronte anche della riduzione del numero dei ristoranti attivi. Il ristorante classico che trova nel delivery food un aiuto parziale. Quando però gli si impedisce di avere pubblico in sala e, in alcuni momenti come nel primo lockdown, di fare l’asporto ora permesso questi ristoranti chiudono. Le consegne allora si concentrano sui grandi circuiti e su alcuni tipi di ristoranti dove si trovano nei momenti di punta dai 10 ai 50 rider in contemporanea in attesa degli ordini. Questo crea problemi di assembramenti non consigliati in questo periodo e allunga le attese. Per noi questo significa guadagnare di meno.
L’accordo tra Assodelivery e Ugl ha cambiato le condizioni di lavoro?
Sì, nel senso che sono peggiorate . Si stabilisce una tariffa base di dieci euro lordi all’ora, intesi come ora lavorata, esclusi tutti i momenti di attesa tra un ordine e l’altro. La disponibilità del rider che attende l’ordine non è pagata. In realtà la situazione è persino più grave. La paga, in realtà, non è per ora lavorata o per frazione di ore lavorate, ma per ora o frazione di ora lavorata stimata. Le aziende non ti pagano per il tempo della consegna ma stabiliscono la tariffa a priori in base a degli standard che conoscono solo loro. Qualsiasi imprevisto che aumenta il tempo necessario per fare la consegna non porterà mai all’aumento conseguente della paga. Non riuscirò mai a farla in 20 minuti se devo attendere al ristorante, se c’è traffico o le istruzioni non sono precise. Il tempo in più rispetto a quanto stimato non è pagato da nessuno.
In media quanto è diminuito il compenso?
Tra le varie aziende in tempi pre-covid le tariffe più o meno si equiparavano con una una media di 4,5-5 euro lordi a consegna. Difficilmente scendeva sotto i 4. Ora invece abbiamo una consegna può essere pagata n alcuni casi anche meno di un euro, oppure 1,90 o 2,80. È uno dei risultati dell’applicazione di quell’accordo. Poi ci sono i risultati indiretti . Alcune società applicano il free login: significa non avere orario di lavoro, mettersi online quando si vuole, per il tempo che si vuole, senza che ci sia garanzia di un ordine. È una delle misure per tentare di dimostrare che questo lavoro non sarebbe configurabile come lavoro quantomeno etero-diretto. Nonostante questo la procura di Milano ha chiesto l’assunzione di 60 mila rider e ha comminato la multa di 733 milioni di euro.
Servirà il protocollo «anti-caporalato» sottoscritto da sindacati e Assodelivery al ministero del lavoro?
Servirà se è inteso come il primo passo verso la regolarizzazione di questo lavoro. Non consentiremo che Assodelivery ritenga di avere assolto tutte le sue responsabilità con questa firma. Come Riders per i diritti, con i sindacati, chiediamo di proseguire il percorso con un tavolo per arrivare a un nuovo contratto che cambi il regime di questo lavoro. Le aziende ad oggi hanno risposto in termini ideologici: per loro questo lavoro è solo autonomo. È un criterio che non si tocca.
Cosa dovrebbe fare il governo?
Confermare l’impegno a stimolare la trattativa. Abbiamo segnali dal ministro del lavoro Andrea Orlando, all’indomani della firma del protocollo, che proseguirà. Il governo deve convocare le parti. Una legge c’è, è stata aggirata dall’accordo con Ugl. Stabiliva che il 3 novembre 2020 se le parti non fossero arrivate a un accordo, avrebbe imposto il contratto di lavoro subordinato per legge. Se invece ci fosse stata un accordo l’imposizione non sarebbe scattata. Il legislatore intendeva dire che l’accordo doveva prevedere il fatto che i rider sono subordinati. Mentre quello con Ugl non lo prevede. La legge va applicata.
Come cambierebbe la vita di un rider con un contratto di lavoro?
Sapere all’inizio del mese quanto si guadagna il mese seguente. Sapere di potersi assentare per una malattia o un infortunio. Questo cambia molto nella vita di una persona. E soprattutto ora che vediamo in strada che l’età media dei lavoratori si è alzata. C’è stato un afflusso di adulti più che di giovani. Il rider è una figura diversa da uno studente che si paga gli studi. Una buona percentuale è fatta di immigrati. Per loro avere un contratto avrebbe un valore aggiunto. Un lavoro subordinato con la busta paga gli permetterebbe ad esempio il rinnovo del permesso di soggiorno. L’autorità non si accontenta della dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, vorrebbe avere informazioni sulle prospettive. La semplice rendicontazione di quanto ha guadagnato l’anno prima non basta.
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