I governi conservatori e liberali guidati dal presidente francese Emmanuel Macron, con il governo italiano al traino, impediranno l’approvazione della Direttiva sulle piattaforme digitali promossa dalla Presidenza spagnola dell’Unione Europea. Questa misura pionieristica, frutto di un’estenuante e complessa mediazione, sostenuta anche dalle lotte dei rider che si sono auto-organizzati in Europa, avrebbe dovuto riconoscere diritti e garanzie a circa 30 milioni di lavoratori e 5,5 milioni di falsi lavoratori autonomi è stata sostanzialmente neutralizzata. E non basterà il rinvio dei lavori alla prossima presidenza dell’Ue guidata dal Belgio per uscire dall’impasse.

Un accordo politico provvisorio era stato trovato la settimana scorsa all’inizio dei negoziati tra la Commissione europea, la presidenza spagnola e gli eurodeputati – il consesso nella complicata democrazia multilivello dell’Ue è noto come «trilogo» (Il Manifesto, 14 dicembre). Ieri però non è riuscito a garantire una maggioranza qualificata all’interno Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper). La situazione è stata ritenuta così difficile da spingere a rinunciare a un voto formale perché, a un certo punto delle trattative, è diventato evidente il fatto che i Paesi baltici, la Repubblica ceca, la Francia, l’Ungheria e l’Italia erano contrarie all’accordo e non avrebbero permesso di raggiungere almeno il 55% dei voti a sostegno della proposta di accordo. Chi ha fatto pendere la bilancia a favore dei governi che sostengono i capitalisti di piattaforma è stata la Germania del socialdemocratico Scholz. Sul dossier si è sempre astenuta. Lo ha fatto anche ieri, non permettendo di dare più peso ai voti favorevoli alla proposta. Questi fattori hanno dato un colpo alla dinamica presidenza spagnola che ha chiuso un accordo problematico, e criticato in Italia, sul nuovo patto Ue di stabilità e crescita. Le relatrice del testo ormai compromesso è l’eurodeputata Elisabetta Gualmini (Pd/S&D).

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Il Manifesto ha chiesto un commento a Valerio De Stefano, oggi professore di diritto del lavoro alla York University di Toronto, uno dei più autorevoli giuristi europei che ha sostenuto le ragioni della direttiva. «È un peccato che si sia voluto bloccare un buon testo di compromesso – sostiene De Stefano – L’impressione è quella che si sia ceduto completamente alle piattaforme, che hanno fatto lobbying intensissimo perché non si arrivasse a una presunzione di lavoro subordinato che funzionasse. Alcuni paesi volevano svuotare dall’interno la presunzione stessa: così troppi lavoratori rimangono senza tutele».

L’obiettivo delle piattaforme digitali è evitare che i lavoratori autonomi e precari al lavoro per esempio con Uber o Deliveroo siano «riclassificati» come dipendenti a tempo pieno in base al loro rapporto di lavoro. Da qui discenderebbero anche nuove ambiziose disposizioni sulla gestione algoritmica sul posto di lavoro contenute nell’ipotesi di direttiva. Sin da subito, su questi aspetti, si è acceso un conflitto che ha fatto fallire l’accordo provvisorio nell’ambito del Coreper. Gli spazi di manovra a sei mesi dalle Europee sono ristretti. Troppo poco tempo per concordare un accordo diverso.

La Francia, con il ministro del lavoro Olivier Dussopt ha già detto che non accetterà un accordo. A meno di uno stravolgimento del testo su posizioni ancora più compromissorie.