Niger, per la giunta militare è il giorno della verità
La crisi nel Sahel Scade oggi l’ultimatum della Cedeao, ma nel fronte interventista non mancano i dubbi. Sull’uso della forza il senato nigeriano sconfessa Tinubu: «Pensi piuttosto a Boko Haram»
La crisi nel Sahel Scade oggi l’ultimatum della Cedeao, ma nel fronte interventista non mancano i dubbi. Sull’uso della forza il senato nigeriano sconfessa Tinubu: «Pensi piuttosto a Boko Haram»
Sarebbe il giorno della verità in Niger, ma i «ma» non mancano. Di certo, a una settimana dal regime change imposto dai vertici dell’esercito riuniti nel Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), la crisi è a un passaggio chiave. Scade infatti oggi l’ultimatum lanciato dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) ai “golpisti” di Niamey, con la richiesta di ripristinare l’ordine costituzionale e reinsediare il presidente Mohamed Bazoum, pena la possibilità di un intervento militare.
Possibilità che è sembrata diventare ogni giorno più concreta, visto che l’ultimo tentativo di mediazione è fallito – non a caso – mentre a Abuja, in Nigeria, erano in corso i preparativi per l’azione di forza, in apposita riunione a cui hanno partecipato i capi di stato maggiore dei paesi membri dell’organizzazione. Che sarebbero 15, tranne che risultano sospesi i quattro passati sotto il comando di giunte militari: Mali, Burkina Faso, Guinea-Conakry e da ultimo il Niger.
Stati uniti e Ue, Francia in testa, confermano il loro ok interessato alla linea della fermezza seguita stavolta, e non in altre circostanze simili, in cui la Cedeao si era limitata alle sanzioni.
LA PRESIDENZA DI TURNO nigeriana spinge perché alla scadenza dell’ultimatum si passi dalle parole ai fatti e il neo-presidente Bola Tinubu non ha esitato a tagliare le forniture elettriche che la Nigeria garantiva al suo vicino del nord. Ma ieri ha dovuto incassare la contrarietà del Senato, il cui presidente Godswill Akpabio ha smentito che Tinubu avesse chiesto un voto di approvazione per l’intervento armato e invita la Cedeao di riattivare la pista diplomatica. L’opposizione incalza: «Esercito male armato, Tinubu pensi piuttosto a sconfiggere i jihadisti di Boko Haram».
Per contro, secondo alcune fonti, il generale Salifou Mody avrebbe chiesto aiuto ai russi del gruppo Wagner durante il suo viaggio in Mali e Burkina Faso. Paesi confinanti e con destini a questo punto coincidenti, che assicurano di stare al fianco della giunta del generale Abdourahamane Tchiani in caso di aggressione.
Altri paesi della regione che non aderiscono alla Cedeao non sono arrivati a tanto, ma ieri sono tornati ad esprimere dubbi sull’intervento esterno. L’Algeria lo ha fatto comunicando proprio all’inviato di Tinubu che un’escalation «non farebbe che aggravare la situazione del Niger e della regione». Sulla stessa linea il Ciad, che aveva tentato una iniziale mediazione.
DAL BENIN, paese che invece fa parte della Cedeao ed è tra i più indiziati per fornire eventuali truppe (con Nigeria, Senegal e Costa d’Avorio), è arrivato un ultimo auspicio di soluzione negoziale, accompagnato però dalla conferma che in caso di intervento il paese sarebbe «pienamente coinvolto». Per questo a Cotonou l’Alliance Pour la Patrie (App) accusa il presidente Talon di voler «trascinare il paese in una guerra contro il Niger per gli interessi strategici della Francia».
In Italia i 5 stelle chiedono al governo cosa intende fare con il contingente militare di stanza a Niamey, ora che «la situazione potrebbe prendere una piega irreversibile».
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