Niger, nuovo vertice ma tempi duri per la «coalizione dei volenterosi»
Dopo la scadenza dell’ultimatum Per i paesi più propensi all'intervento armato si complica il fronte interno. Critiche alle «sanzioni illegali e disumane imposte dalla Cedeao il 30 luglio contro il Niger hanno già avuto effetti gravi sulla vita dei cittadini e dei lavoratori»
Dopo la scadenza dell’ultimatum Per i paesi più propensi all'intervento armato si complica il fronte interno. Critiche alle «sanzioni illegali e disumane imposte dalla Cedeao il 30 luglio contro il Niger hanno già avuto effetti gravi sulla vita dei cittadini e dei lavoratori»
Tornano a riunirsi oggi a Abuja, Nigeria, i leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), dopo la scadenza dell’ultimatum imposto ai militari che hanno preso il potere in Niger lo scorso 26 luglio. Ma sono tempi duri per la «coalizione dei volenterosi» (a voler usare la terminologia di George E. Bush e Tony Blair nel 2003), formata dai quattro governi – Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Benin – pronti a fornire soldati per un intervento armato.
Altri governi dell’area tacciono – è il caso del Ghana – o hanno già fatto sapere che non interverranno e semmai assumono una postura negoziale – come il confinante Ciad – oppure mettono in guardia contro la possibile escalation – l’Algeria. Ma anche al loro interno, i quattro Stati più interventisti sono tutt’altro che coesi.
IN NIGERIA per primi i senatori delle regioni settentrionali e poi l’insieme del Senato hanno chiesto la via negoziale anziché un’azione che farebbe vittime innocenti fra la popolazione nigerina e fra i soldati nigeriani, aiutando di fatto i terroristi di Boko Haram.
IN SENEGAL, un appello del Social forum del Senegal, pur condannando il golpe, denuncia invece le «sanzioni illegali e inumane che colpiscono prima di tutto la popolazione» e si oppone «a ogni intervento militare che peggiorerebbe la situazione in Niger e nella sub-regione, indebolirebbe la lotta al terrorismo e servirebbe solo agli interessi di potenze straniere. La Cedeao) potrebbe cadere a pezzi. L’uso delle armi inoltre rappresenterebbe un colpo duro agli sforzi di integrazione in Africa occidentale e a livello di tutto il continente». Si chiede dunque ai leader della Cedeao una «via d’uscita pacifica e solidale».
IN COSTA D’AVORIO l’ex presidente Laurent Gbagbo, leader dell’opposizione, ha dichiarato che «l’intervento militare della Cedeao è una pratica riprovevole che comprometterebbe la stabilità politica e la democrazia». Chiedendo una soluzione diplomatica per il Niger, Gbagbo ha anche condannato con forza le misure di ritorsione adottate dalla Cedeao contro il popolo nigerino, ritenendole «senza precedenti, inaccettabili e suscettibili di esacerbare la precaria situazione nel paese fratello». Ha infine invitato la Cedeao a condurre un’indagine approfondita sui fattori che contribuiscono alla diffusione degli atti di terrorismo in Africa occidentale.
IN BENIN è nato il Comitato di solidarietà Benin-Niger, del quale fanno parte sindacati, associazioni per i diritti dei popoli, gruppi politici di opposizione. Il Comitato ripudia ogni intervento armato e chiede anche di aprire le frontiere perché «le sanzioni illegali e disumane imposte dalla Cedeao il 30 luglio contro il Niger hanno già avuto effetti gravi non solo sull’economia nazionale, ma anche sulla vita dei cittadini e dei lavoratori. Aprite le frontiere! Basta con le minacce di aggressione».
La minaccia stessa dell’uso della forza è illegale per il diritto internazionale, visto che il Niger non ha attaccato nessuno Stato, ricorda l’associazione italiana Peacelink in una lettera aperta inviata alle ambasciate in Italia dei paesi della Cedeao per chiedere di respingere ogni idea di intervento militare, il quale oltretutto sarebbe una manna per i gruppi terroristici, frutto avvelenato della guerra Nato in Libia.
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