Non è bastato il via libera svedese all’estradizione di un attivista curdo di cittadinanza turca, Mehmet Kokolu, né l’approvazione della legge anti-terrorismo che è di fatto il mezzo per estradarne ancora di più.

Non basta l’azione della polizia politica svedese Säpo che stringe la morsa intorno alle organizzazioni curde nel paese scandinavo né la firma in calce all’accordo di Madrid con cui Svezia e Finlandia promettevano di rimuovere l’embargo sulle armi alla Turchia. Ieri il presidente Erdogan, fresco di rielezione, poche ore prima dell’incontro a quattro con delegazioni di Stoccolma, Helsinki e Nato, ha ribadito che non intende togliere il veto all’adesione atlantica della Svezia fin quando non rispetterà i patti. Tutti.

«Non possiamo adottare un approccio positivo nelle attuali circostanze – ha detto – La Nato non può costringerci ad ammettere la Svezia senza un’azione contro il terrorismo». Poi il governo di Ankara ha incontrato le tre delegazioni, tre ore di discussione e un comunicato scarno: si è parlato dei passi che Stoccolma dovrebbe compiere per adempiere agli accordi precedenti, il dialogo continua. Ma la situazione, lo sa il segretario generale della Nato Stoltenberg, non è delle migliori: manca meno di un mese al vertice atlantico dell’11 e 12 luglio in Lituania, in cui sperava davvero di annunciare l’ingresso della Svezia nell’Alleanza.

Ma Erdogan vuole di più di un’estradizione o di una legge che ha indignato tanti in Svezia. Cita i cortei pro-curdi che negli ultimi giorni hanno attraversato Stoccolma e che considera un inno al Pkk – dunque, dice, al «terrorismo» – tollerato dalle autorità locali. Ma in realtà punta più in alto: altre armi, altra impunità.