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New York, rimandata a settembre l’unica condanna per Trump

Donald Trump durante un comizio a Chesapeake, VirginiaDonald Trump durante un comizio in Virginia – Ansa

Stati uniti La decisione della Corte suprema sull’immunità influenza anche la sentenza di Manhattan. Biden: «Non esistono re in America»

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 3 luglio 2024

Non solo il processo per il tentato golpe del 2021: la sentenza della Corte suprema sull’immunità presidenziale ha avuto una ricaduta immediata anche sull’unico procedimento penale in cui Donald Trump è stato giudicato colpevole sinora. Nonché probabilmente l’unico a vedere la luce prima delle elezioni di novembre. Ieri la procura di Manhattan ha accettato la richiesta dei legali dell’ex presidente di posticipare la sentenza nel caso in cui Trump è stato condannato – a maggio – di tutti e 34 i capi di imputazione per falsificazione dei libri contabili, al fine di insabbiare una liaison del 2006 con l’ex pornostar Stormy Daniels.

«ANCHE SE riteniamo infondate le argomentazioni» di Trump, ha scritto in una dichiarazione l’assistente procuratore Joshua Steinglass, «non ci opponiamo alla sua richiesta» di rimandare la sentenza a dopo che verrà discussa la mozione presentata dagli avvocati. Presentata solo una manciata di minuti dopo la pubblicazione, lunedì, della sentenza dei giudici costituzionali in Trump v. United States. Secondo gli avvocati del tycoon, l’ampia definizione di «atti ufficiali» coperti da immunità data dalla Corte spariglia le carte anche nel caso newyorchese, benché sia legato a atteggiamenti che non potrebbero essere meno «ufficiali»: nascondere un rapporto sessuale risalente a 10 anni prima della sua presidenza. Fra le prove presentate al processo per dimostrare la sua colpevolezza, argomentano però gli avvocati di Trump, c’erano anche atti compiuti durante il suo mandato alla Casa bianca: bisogna ora stabilire se si trattava di atti ufficiali in base alla nuova, vasta e devastante definizione che ne ha dato la Corte suprema. In base alla quale gli atti ufficiali del presidente non sono solo coperti da immunità, ma non possono neanche essere usati come prova di una condotta «privata», e dunque non immune da procedimenti penali.

LA SENTENZA fissata l’11 luglio – a pochi giorni dalla Convention repubblicana di Milwaukee che incoronerà Trump candidato ufficiale alla presidenza – è stata effettivamente spostata a oltre due mesi dopo, il 18 settembre, con l’assenso del giudice che ha presieduto il processo di Manhattan, Juan Merchan. Durante il processo, Merchan aveva rigettato una richiesta dei legali di Trump di posticipare il procedimento a dopo la decisione della Corte suprema. Ma ora che questa è arrivata, insieme all’assenso della pubblica accusa, era improbabile che il giudice non accogliesse la mozione di Trump.

«Non esistono re in America. Tutti, tutti noi siamo uguali davanti alla legge. Nessuno è al di sopra, neanche il presidente degli Stati uniti»: la condanna della sentenza da parte di Joe Biden è arrivata altrettanto rapidamente, con una conferenza stampa nella stessa serata di lunedì. «So che io rispetterò i limiti dei poteri presidenziali come ho fatto per tre anni e mezzo, ma qualunque presidente – compreso Donald Trump – sarà ora libero di ignorare la legge». La sentenza, ha aggiunto, fa sì che «virtualmente non ci siano limiti a ciò che i presidenti possono fare. È un principio nuovo e un precedente pericoloso perché il potere dell’ufficio presidenziale non sarà più contenuto dalla legge». Il presidente cita il dissenso della giudice liberal Sonia Sotomayor: «Il presidente è ora un re al di sopra della legge. Timorosa per la nostra democrazia, dissento». «Anche il popolo americano dovrebbe dissentire – chiosa Biden – io dissento».

PER QUELLO che il presidente chiama «uno dei giorni più bui della storia degli Stati uniti» – il 6 gennaio 2021 e il tentativo di cui è stato il culmine di ribaltare il risultato elettorale – perlomeno qualcuno sta pagando delle piccole conseguenze. Ieri l’ex legale di Trump ed ex sindaco di New York Rudy Giuliani è stato radiato dall’albo degli avvocati di New York, dove era registrato. Con «falsità e disonestà», ha dichiarato la corte d’appello che lo ha radiato, Giuliani ha sostenuto che a Philadelphia migliaia di voti nelle elezioni del 2020 erano riconducibili a persone decedute. Ora, aggiunge la Corte, l’ex sindaco dovrà «astenersi dal praticare la legge in ogni sua forma».

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