Abolire l’obbligo dell’hijab, il velo islamico, è al centro delle rivendicazioni del movimento «Donne, Vita, Libertà» che ha scosso l’intero Iran. Nei quattro mesi dall’inizio delle contestazioni popolari molte donne iraniane, incluse artiste, attiviste socio-politiche e sportive, hanno rimosso il loro copricapo in segno di protesta. Molte di loro sono state arrestate e condannate a pene pecuniarie e reclusione o ancora sono in attesa di giudizio.

Pochi giorni fa, nel raduno delle donne sostenitrici del regime, il leader della Repubblica islamica, Ali Khamenei, alle critiche sull’hijab obbligatorio aveva risposto: «Non ci sono dubbi sull’obbligo dell’hijab: è un obbligo della shariah (legge islamica, ndr) che deve essere osservato».

Tuttavia nel suo discorso Khamenei aveva anche osservato: «Coloro che non osservano “pienamente” l’obbligo di hijab non dovrebbero essere accusate di irreligione e controrivoluzione».

Eppure il giorno dopo Khamenei ha destituito il capo della polizia e nominato Ahmadreza Radan, uno dei duri sostenitori del velo islamico che aveva fatto anche parte dell’odiata polizia morale. Intanto, i media iraniani hanno pubblicato un nuovo disegno di legge penale sull’argomento, presentato dall’ufficio degli affari legali del parlamento al governo di Ebrahim Raeesi.

In seguito il vice procuratore generale, Abdul Samad Khorramabadi, attraverso una direttiva dell’ufficio del procuratore ha ordinato alla polizia di affrontare «con decisione» le donne senza hijab.
Samira, lei è un’avvocata e attivista per i diritti delle donne, fornisce loro assistenza legale e già ha partecipato attivamente al progetto «Un milione di firme per l’abolizione delle leggi discriminatorie contro le donne in Iran».

Ci può aiutare a capire cosa cambierebbe con la riforma?

Chiariamo una cosa: nel nostro ordinamento non indossare il velo è considerato un reato e per questo sono previste delle punizioni. Così rimane anche nella nuova legge. Ciò che è stato proposto sono le modifiche di sanzioni per chi trasgredisce.

Ma sembra che venga depenalizzato il mancato uso dell’hijab completo.

Legalmente no, il disegno di legge non dà una definizione precisa e completa di hijab, assenza di hijab e hijab incompleto. Questo origina interpretazioni arbitrarie e in questi casi è necessario fare riferimento a fonti legali e fatwa (responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico, ndr). In questo caso solo viso e mani sono esclusi dall’hijab.

Allora non è cambiato nulla?

Sono proposte modifiche delle sanzioni. Chi si presenta in pubblico senza velo per la prima volta, può impegnarsi per iscritto a osservare la legge da quel momento in poi: così il caso viene archiviato. Tuttavia, nei casi in cui la donna rifiuta di assumere tale impegno o se viene fermata senza il velo per la seconda volta sarà condannata a periodi di cura, servizi pubblici gratuiti, multe, restrizioni di impiego, residenza obbligatoria, divieto di lasciare il paese, ecc. per periodi limitati. Inoltre, il tribunale può condannare la «colpevole» a partecipare a corsi educativi, morali e religiosi per una o due settimane come pena aggiuntiva.

Qual è la sua valutazione?

La Repubblica islamica ha alcune linee rosse identitarie. Una di esse è il velo. L’hijab è un simbolo d’autenticità religiosa per il regime. La rinuncia viene interpretata come una sconfitta sonora che causerebbe contrarietà nei suoi pochi devoti sostenitori, aggrappati all’ordinamento religioso. Perciò legalmente il velo rimane un obbligo. Ma credo che, ufficiosamente, possono essere tollerate coloro che portano il cosiddetto «hijab incompleto».

Se non erro, l’«hijab incompleto», nel sentire comune iraniano, è inteso come copricapo e lunghi vestiti, invece del velo nero che avvolge tutto corpo. Esattamente com’era vestita Mahsa Amini il 13 settembre 2022, quando fu arrestata.

È così, di fatto già milioni di donne si vestivano così anche prima, ma non abbiamo una definizione legale e si lascia tutto all’interpretazione del giudice. La parte peggiore è che la cittadinanza viene invitata a denunciare le donne che non osservano l’obbligo. Negozi, banche, uffici, anche i taxi, devono controllare altrimenti rischiano pesanti sanzioni. È un meschino tentativo di mettere uno contro l’altro. Non occorre essere un sociologo per capire che una società, che da mesi è scesa in piazza per rivendicare i suoi diritti, non si accontenta di una concessione ufficiosa e ambigua. Questo è un altro tentativo di distorcere la realtà sul terreno a favore delle menzogne ufficiali. Sappiamo che il sistema non vuole né è capace di attuare il volere della maggioranza della popolazione perciò fa e disfa a uso e consumo dei suoi sostenitori per non perdere la sua legittimità religiosa. Comunque, finché questo sistema non verrà smantellato, abbiamo il dovere di difendere migliaia di donne che subiscono pene arbitrarie nelle aule dei tribunali della Repubblica.