Le elezioni in Turchia segnano la tenuta del modello radicalmente conservatore di Erdogan. D’altra parte, i socialdemocratici, con una larga alleanza a sostegno di Kılıçdaroglu e il 48% delle preferenze, si propongono per la contesa dell’egemonia politica in cui si intrecciano fattori politici, religiosi e di modello economico. Ne abbiamo parlato con Hasan Haksoy, professore dell’Università di Ankara, accademico e intellettuale impegnato nel campo della pedagogia critica.

La sinistra in Turchia si è difesa bene nelle grandi città, ma fa più fatica nelle aree interne e rurali. Come lo spiega?

Una finta, grande campagna di terrore e potere statale è stata utilizzata nel processo elettorale da parte del governo/potere. I movimenti conservatori sono ben organizzati non solo nelle piccole aree urbane e rurali, ma – sostenuti dal potere statale centrale – anche nelle grandi città. I movimenti progressisti, invece, sono ben organizzati nei grandi centri urbani, ma non potrebbero funzionare in alcune piccole comunità. Ci sono radici storiche in alcune città dall’identità conservatrice e di destra molto forte (come Yozgat, Konya Rize), mentre alcune città di mare o di confine (come Izmir, Tekirdag e Hatay) hanno un’identità laica di sinistra. In passato i movimenti di sinistra erano ben organizzati anche nelle aree rurali, ma dopo il colpo di stato del 1980 tutto il potere si è concentrato sull’islamizzazione che ha avuto un forte successo a livello nazionale, soprattutto nelle piccole città. Da quel momento l’educazione conservatrice e neoliberista ha cambiato molto la narrazione politica e ha oppresso brutalmente le persone e i movimenti progressisti e di sinistra. Anche a causa del crollo dell’Unione sovietica, le giovani generazioni per lo più non hanno avuto un’influenza politica di movimenti socialisti e progressisti anche se, dopo un lungo percorso, un nuovo canale politico è sorto dai movimenti della sinistra curda, divenuta centro di attrazione nell’area della lotta politica.

Eppure, la laicizzazione era stata portata avanti nella prima metà del ’900 da Atatürk, considerato tuttora riferimento dell’identità turca.

La Turchia è stata sulla strada di una forte formazione di Stato laico e sociale nonostante i grandi conflitti e le difficoltà economiche caratteristiche dei paesi in via di sviluppo o meno sviluppati, ma con l’approccio di Atatürk non c’è stato un vero intervento politico sulla vita dei poveri, se non dare un segnale per una vita di base laica, molto importante per la popolazione ma che non copre tutte le questioni. Dopo il 1980 la Turchia si è aperta al capitale globale e i generali hanno usato il nazionalismo e l’islamismo per sostenere il nuovo regime di stampo neoliberista. La radice dell’islamizzazione potrebbe risalire a date molto lontane, ma le decisioni politiche e gli investimenti sull’educazione religiosa in grande massa sono iniziate dopo gli anni ’80. Questa tendenza è stata rallentata negli anni ’90 con decisioni politiche ed educative, come gli otto anni di istruzione elementare, ma dopo il 2002 è iniziato il periodo di controreazione conservatrice, guidato dall’Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo) di Erdogan. Si tratta di una peculiare connessione tra nazionalismo e islamizzazione: una «sintesi turco-islam» che definisce principalmente l’ideologia di movimenti nazionalisti di destra. L’Akp è partito dal punto di vista dell’islamismo neoliberista per estendere la sua posizione a quella nazionalista alleandosi con il Mhp (Partito del movimento nazionalista).

Ritiene ancora possibile spezzare questa catena di politica neoliberista, nazionalista e conservatrice?

Penso non sia una via facile ma è possibile un cammino verso cambiamenti progressisti e rivoluzionari. Non sono ancora abbastanza forti i discorsi antirazzisti, anticapitalisti che partano dalle caratteristiche del paese, dalle condizioni storiche e dalle singole persone, senza cui non si potrebbe creare una coscienza di classe e una solidarietà internazionalista tra i movimenti in maniera laica, popolare (non populista) e rivoluzionaria. Tutte le aree, come istruzione, lavoro, salute, credenze religiose, le stesse elezioni,- sono spazi di lotta ed egemonia, ma alcuni gruppi di sinistra non vogliono interessarsi della politica elettorale. Tutti i problemi e gli spazi delle persone dovrebbero essere un problema politico e uno spazio di lotta. Bisogna insistere sulla lotta, organizzarsi a tutti i livelli (locale, nazionale e internazionale) ed essere parte genuina del popolo attraverso la comprensione delle sue esigenze, dei suoi problemi e dei suoi bisogni, spirituali e materiali.

Nonostante le continue repressioni, nell’università esistono spazi di confronto democratico e pensiero critico?

I principali partiti della coalizione di governo hanno la maggior parte degli accademici nelle loro organizzazioni e tra i membri del parlamento: aiutano a portare avanti la politica neoliberista e nazionalista negli organi di governo, nelle grandi aziende e nelle università private, fino a sostenerli con i loro studi. Gramsci ci ricorda che gli intellettuali organici definiscono la loro posizione tra classe dominante e classe dominata, e così ci sono anche piccoli gruppi organizzati di intellettuali pubblici o organici che studiano in maniera critica e solidale la condizione dei popoli poveri, le organizzazioni della classe operaia e i movimenti di opposizione. Le università sono ancora luoghi pubblici in cui cercare libertà, equità, verità, ma gli accademici sono perseguitati e sotto pressione in particolare dal 2015, con le decisioni arbitrarie del Consiglio dell’istruzione superiore che inibisce promozioni agli oppositori, definisce una distribuzione ineguale delle posizioni accademiche e tiene gli stipendi bassi. Il licenziamento di molti accademici critici a causa di una petizione è diventato un caposaldo del livello di oppressione degli attivisti accademici. Un’altra questione: a causa della repressione molti movimenti si sono divisi, il numero di membri dei sindacati è diminuito e la loro influenza si è indebolita. Nonostante ciò, le università pubbliche sono una parte importante delle idee e dei movimenti critici e gli attivisti accademici stanno alimentando il clima di opposizione con i loro studi, la partecipazione a diversi livelli, inserendosi negli organi esecutivi, presentandosi a congressi, attraverso pubblicazioni, trasmissioni televisive. In questa lunga e interminabile lotta per i diritti e la giustizia, sono emersi nuovi compagni ed esempi di solidarietà. Il relitto è rimasto attaccato al collo del governo, ma d’ora in poi i poveri avranno più bisogno dell’opposizione.